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Intelligenza Emotiva Artificiale

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Gemelli? Boh, Forse
Si dice che ognuno di noi ha una doppia anima...
by D&D

…Quello che state per leggere non è il prodotto di ricerche accademiche, ma divagazioni di un passante per caso intorno alla tecnologia.

Immagina di passare, in un batter d’occhio, dalla condivisione di adorabili foto di gattini (un passatempo innocuo, in teoria) alle più infuocate battaglie di tastiera, protetto da uno schermo che ti trasforma da pacifico panda a bestia feroce dal ruggito digitale. Può sembrare assurdo, eppure basta un post leggermente provocatorio per dar vita a un circo della maleducazione, con insulti che volano come coriandoli a Carnevale.

Ci vorrebbe una sorta di supercolla che unisce il calore umano e la tecnologia, come due compagni di classe costretti a fare una presentazione insieme. Significa tenere a mente che dietro ogni username c’è una persona vera, magari con una giornata orribile alle spalle. Dopotutto, se non andresti da uno sconosciuto a urlargli in faccia mentre fai la spesa, perché farlo su un forum?

Poi ecco l’Intelligenza Artificiale, che non serve solo a proporti la prossima serie TV da divorare o a batterti a scacchi in due mosse. Oggi si parla di IA in grado di fiutare i tuoi stati d’animo: sei giù di corda? Lei ti consiglia una playlist soave. Hai la pazienza di un gatto sul tetto? Ti lancia una battuta (magari un po’ scema) per provare a farti sorridere. Non è esoterismo, è solo software scritto da gente che, evidentemente, vuole vederci meno musoni in giro.

Facciamo un salto indietro negli anni ’90, quando Richard Wallace diede vita ad A.L.I.C.E. (Artificial Linguistic Internet Computer Entity), un chatbot che cercava di simulare una conversazione umana usando AIML. A.L.I.C.E. ha anche vinto più volte diversi premi in competizioni sull’Intelligenza Artificiale, ma il Test di Turing rimaneva un miraggio. A un certo punto si capiva che c’era un robot dietro la tastiera. Nonostante ciò, A.L.I.C.E. ha aperto la strada a progetti sempre più ambiziosi, fino a ispirare film come “LEI” di Spike Jonze, dove addirittura c’è chi si innamora di un sistema operativo. Momento romantico o crisi esistenziale? Giudicate voi.

Il Test di Turing, ideato da Alan Turing nel 1950, è un modo per decretare se una macchina può essere considerata “intelligente” come un umano. Un giudice chiacchiera con una persona vera e con una macchina, senza sapere chi sia chi. Se non riesce a distinguere la macchina per almeno il 30% delle volte, la macchina è considerata “intelligente”. Nel 2014, la chatbot Eugene Goostman (fingeva di essere un tredicenne ucraino) ha superato questa soglia, ma molti hanno storto il naso. A un tredicenne ucraino che non parla bene inglese, qualche errore glielo perdonano tutti. Ma con l’avanzamento delle tecnologie, modelli linguistici come GPT-4 hanno mostrato capacità sorprendenti nel generare testi simili a quelli umani. In alcuni studi, GPT-4 è stato giudicato umano nel 54% delle interazioni, avvicinandosi alle prestazioni umane, che si attestano al 67%. Ma il dibattito su quanto valga ancora il Test di Turing è più acceso di un talk show serale.

Nel frattempo, l’IA progredisce a un ritmo da maratoneta allenatissimo, tanto che un giorno potremmo affidarci a “terapisti virtuali” che ci ascoltano 24 ore su 24, offrendoci chiacchiere e consigli senza giudicare. Non che possano mai sostituire il calore di un abbraccio o la competenza di uno specialista, ma in quelle notti in cui tutto sembra andare storto, a volte è meglio parlare con uno stupido che con nessuno. Ma l’IA non si ferma qui. Potrebbe anche migliorare diagnosi e trattamenti, a patto di non dimenticare l’importanza del tocco umano. Nessuno vuole un futuro in cui i robot capiscono tutte le nostre emozioni, ma non sanno cosa farci davvero.

Ecco quindi l’“Intelligenza Emotiva Artificiale”. Un ramo dell’IA che cerca di riconoscere, interpretare e rispondere alle emozioni. L’idea è superare l’analisi puramente numerica, per arrivare a cogliere le sottigliezze che di solito leggiamo negli occhi di un amico o nel tono di voce di un collega. Insomma, una sorta di “lettura della mente” versione software.

Mentre la tecnologia ci porta sempre più lontano, dovremmo chiederci come renderla meno aliena e più “umana”. Abbiamo strumenti formidabili per comunicare e prenderci cura di noi, ma tutto dipende da come li useremo. A volte, basta un messaggio semplice come “come stai?” (anche scritto da un’IA un po’ empatica) a cambiare la giornata di qualcuno. Provate a dire ad Alexa che siete tornati a casa: potreste ricevere una risposta più “calda” del previsto.

Ed ecco un altro aspetto affascinante: alcuni laboratori stanno già testando sistemi di Intelligenza Emotiva Artificiale in contesti vari per riconoscere, interpretare e rispondere alle emozioni, cercando di misurare il livello di stress o l’interesse degli utenti attraverso le espressioni facciali o le inflessioni vocali. 

Non solo dati grezzi, ma veri e propri segnali emotivi, così che una macchina possa “leggere tra le righe” di una voce o uno sguardo. La domanda che sorge ora però è: siamo pronti ad affidare a un algoritmo la lettura dei nostri stati d’animo più intimi?

Immagina la possibilità di un assistente intelligente quando scriviamo i messaggi. Un correttore automatico basato sull’IA che ci renda tutti più cordiali e consoni quando scriviamo sui social, a messaggi o email. Prima di iniziare un commento al vetriolo e, prima di cliccare “invio”, un avviso gentile ti segnala: “Ehi, sei sicuro di voler dire proprio così? Forse potresti usare toni più pacati!” Un po’ come la spia della benzina in auto, ma dedicata alla nostra gentilezza online.

In definitiva, mentre navighiamo in questo sterminato mare digitale, vale la pena portare in valigia un po’ di gentilezza e ricordarci che dall’altra parte dello schermo c’è comunque un essere umano (o un’IA che prova a esserlo). Se possiamo contare su un aiutino informatico che ci renda meno acidi e più affabili, tanto meglio. Un mondo virtuale un po’ più empatico, che filtra il nostro istinto di “leoni da tastiera”, farebbe felici tutti, perfino i gattini che amiamo condividere. Perché, alla fine, dietro ogni avatar, restiamo esseri umani con i nostri alti, bassi e mille sfaccettature.

by D&D

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