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Vaccini e memoria: il legame che non ti aspetti.

Un recente studio condotto dall’Università di Oxford, pubblicato sulla rivista npj Vaccines il 25 giugno scorso, ha portato alla luce un’osservazione sorprendente. Due vaccini apparentemente molto diversi, uno per l’herpes zoster e l’altro contro il virus respiratorio sinciziale (RSV), sembrano entrambi ridurre il rischio di sviluppare la demenza: addirittura una riduzione del 29% nei successivi 18 mesi. Il risultato è stato osservato in una vasta analisi basata su dati sanitari reali, e potrebbe aprire nuove strade nella prevenzione di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.

Due vaccini, un ingrediente in comune.

I vaccini studiati (Shingrix contro l’herpes zoster e Arexvy contro l’RSV) condividono un elemento chiave: l’adiuvante AS01, una sostanza che ha il compito di stimolare la risposta immunitaria dell’organismo. Proprio questa caratteristica comune ha spinto i ricercatori a chiedersi se il merito della riduzione del rischio di demenza fosse da attribuire non tanto alla protezione dalle specifiche infezioni, quanto all’azione dell’adiuvante stesso.

·         L’herpes zoster, noto anche come “fuoco di Sant’Antonio”, è causato dalla riattivazione del virus della varicella, che rimane latente nell’organismo dopo la prima infezione.

·         L’RSV, invece, è un virus respiratorio che può provocare infezioni gravi, soprattutto negli anziani e nei soggetti fragili.

Sebbene molto diversi tra loro, entrambi i patogeni sono stati associati in diversi studi a un aumento del rischio di demenza.

Uno studio su oltre 430.000 persone.

Lo studio ha utilizzato il grande database sanitario elettronico statunitense TriNetX, selezionando un campione di 436.788 individui. Questi sono stati suddivisi in gruppi: chi aveva ricevuto solo il vaccino contro l’herpes zoster, chi aveva ricevuto solo quello contro l’RSV, chi li aveva ricevuti entrambi e, come gruppo di confronto, chi era stato vaccinato solo contro l’influenza.

Dopo aver bilanciato le caratteristiche dei partecipanti in modo da rendere i gruppi confrontabili (età media circa 70 anni e distribuzione simile tra uomini e donne), i ricercatori hanno osservato i dati di follow-up nei 18 mesi successivi alla vaccinazione.

Risultato: tutti i gruppi che avevano ricevuto almeno un vaccino con AS01 mostravano un rischio minore di ricevere una diagnosi di demenza rispetto a chi aveva ricevuto solo il vaccino antinfluenzale. Parliamo, rispettivamente del 29%, 18% e 37% di “tempo aggiuntivo” trascorso senza diagnosi, vale a dire 87, 53 e 113 giorni per coloro a cui è stata diagnosticata la malattia entro 18 mesi dalla vaccinazione.

…e non è solo questione di infezioni prevenute.

Una delle prime ipotesi sarebbe che la protezione derivi semplicemente dal fatto che, evitando le infezioni (zoster o RSV), si prevengono indirettamente danni al cervello che potrebbero favorire la demenza. Tuttavia, gli autori notano che l’effetto protettivo si osserva già nei primi mesi dalla vaccinazione, un tempo troppo breve per spiegare il fenomeno solo con la prevenzione delle infezioni. Inoltre, se i due vaccini avessero effetti completamente separati, ci si aspetterebbe un beneficio additivo per chi li riceve entrambi, cosa che invece non è stata osservata. Questo porta a considerare più seriamente un’altra spiegazione: che l’adiuvante AS01 stesso svolga un ruolo diretto nel meccanismo di protezione, “attraverso specifici percorsi immunologici”.

 L’AS01 e i suoi segreti.

L’adiuvante AS01 contiene due componenti principali:

·         MPL (monofosforil lipide A): una sostanza derivata dalla parete cellulare di alcuni batteri, in grado di attivare recettori del sistema immunitario e ridurre (nei topi) la patologia del morbo di Alzheimer.

·         QS-21: un estratto vegetale purificato dal Quillaja saponaria (originario del Cile, è un albero sempreverde della famiglia Quillajaceae), che agisce in sinergia con MPL per stimolare macrofagi (cellule del sistema immunitario che difendono l’organismo contro agenti patogeni, cellule morte e detriti cellulari attraverso la fagocitosi, ovvero l’inglobamento e la distruzione) e cellule dendritiche (appartenenti alla famiglia dei globuli bianchi e, nel sistema immunitario, ricoprono il ruolo di “sentinella”: in presenza di un patogeno nell’organismo, stimolano la risposta immunitaria dei linfociti B e T, specifica contro quell’antigene).

Questi processi attivano una “cascata” di segnali immunitari culminante nella produzione di interferone gamma (IFN-γ): una molecola che, negli studi su animali, sembra ridurre la formazione di placche amiloidi (uno dei tratti distintivi dell’Alzheimer) e che negli esseri umani è associata a un minore declino cognitivo.

Secondo i ricercatori, il fatto che non si osservi un beneficio maggiore combinando i due vaccini potrebbe essere spiegato, quindi, da un “effetto saturazione”: l’azione protettiva dell’AS01 raggiungerebbe così il suo massimo già con le dosi di un singolo vaccino.

Un quadro complesso…ma le tessere combaciano.

Questi risultati si aggiungono a un precedente studio degli stessi ricercatori, condotto un anno fa, che già aveva mostrato come il vaccino Shingrix fosse più efficace del vecchio Zostavax (ora ritirato in molti paesi) anche nella protezione contro la demenza.

La nuova analisi amplia la prospettiva, mostrando che lo stesso fenomeno si verifica anche con un vaccino completamente diverso come l’Arexvy, e che il comune denominatore sembra essere proprio l’adiuvante.

Luci e ombre dello studio.

Gli autori sottolineano che, come in tutti gli studi osservazionali, anche questa complessa ricerca presenta punti di forza ma anche limitazioni. Infatti, se dalla sua ci sono “l’ampia numerosità del campione, la corrispondenza per una serie di fattori confondenti e l’inclusione di diverse esposizioni per triangolare le prove”, dall’altra si evidenzia che i dati si basano su diagnosi registrate, che potrebbero non riflettere, quindi, la reale insorgenza della malattia a causa di ritardi diagnostici e la scarsità di “informazioni sui fattori socioeconomici e di stile di vita”. Inoltre, nel gruppo RSV non tutti i partecipanti avevano ricevuto Arexvy: una parte (circa il 24%) aveva ricevuto un altro vaccino RSV privo di AS01, il che probabilmente ha ridotto l’entità apparente dell’effetto protettivo.

Nonostante ciò, i risultati sono coerenti tra uomini e donne, e non sembrano influenzati in modo significativo da fattori di bias evidenti.

L’autore principale dello studio, Maxime Taquet, Professore Associato e Docente Clinico Accademico presso il NIHR, Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, ha dichiarato:

“I nostri risultati dimostrano che i vaccini contro due virus distinti, l’herpes zoster e il virus respiratorio sinciziale, portano entrambi a una riduzione della demenza. Questo fornisce un ulteriore motivo per sottoporsi ai vaccini, oltre alla loro efficacia nel prevenire queste gravi malattie”.

…e domani?

L’inevitabile passo successivo sarà confermare questi risultati con studi clinici controllati e approfondire i meccanismi biologici in gioco. Se l’effetto dell’AS01 fosse confermato, si aprirebbe la strada a strategie vaccinali “multitasking”: mirate alla protezione contro infezioni specifiche e anche alla prevenzione delle malattie neurodegenerative.

Per ora, la scoperta aggiunge un tassello inaspettato al complesso puzzle della demenza: un ingrediente pensato per potenziare il sistema immunitario potrebbe avere anche un ruolo importante nella salvaguardia del cervello dal declino cognitivo.

È plausibile che, in futuro, scoperte simili siano sempre meno figlie del caso e, al contrario, risultato di analisi compiute da Intelligenze Artificiali sempre più performanti e algoritmi sempre più complessi (sull’argomento vi invito a leggere i numerosi articoli che abbiamo dedicato all’argomento, su tutti: https://italored.it/malattie-rare-farmaci-e-intelligenza-artificiale).

Una combinazione che finalmente potrebbe portare a impensabili (fino ad oggi) “benefici reciproci”:

·         farmaci collaudati e a basso costo, in grado di curare più patologie (anche quelle rare).

·         “soldi facili” per le big pharma, che vedrebbero drasticamente abbassati gli alti costi di ricerca sperimentale.

 …e ancora una volta, a noi non resta che incrociare le dita.

by O. D. B.

Fonti:

https://www.ox.ac.uk/news/2025-06-25-how-do-vaccines-reduce-risk-dementia

https://www.nature.com/articles/s41541-025-01172-3

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