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Ossimori: il labirinto delle opzioni multiple

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Scena di vita vissuta. Mentre faccio la spesa,  vedo una coppia di genitori con una bimba piccolina, non ancora treenne direi ad occhio. La piccola evidentemente non proprio entusiasta di passare il suo tempo tra i corridoi di un supermercato e i genitori che si arrabattano come possono. Niente di strano o di insolito. Poi sento una domanda che calamita la mia attenzione e la mia incredulità. “Tesoro , vuoi gli hamburger di pollo o di tacchino?”. Domanda assai difficile anche per me, francamente non saprei dire la differenza tra i due hamburger. E in effetti deve aver spiazzato un po’ anche la bimba che per pensare a come rispondere  si è fermata qualche secondo. Che sia stata una audace strategia genitoriale per fermare il moto perpetuo della bimba? Dalle espressioni di genuina attesa della mamma con le due confezioni in mano, penserei di no, la mamma sta davvero chiedendo alla bimba di scegliere il tipo di carne bianca del suo hamburger. 

Negli anni di esperienza lavorativa ho raccolto molti esempi simili. Certo, questo specifico episodio è particolarmente simbolico. 

C’è l’attuale credenza che i bambini devono essere liberi. Liberi di esprimersi, liberi di scegliere, liberi di essere loro stessi. E lo condivido. Non sono una nostalgica della pedagogia nera. 

Ma abbiamo mai riflettuto su cosa sia la libertà? E quanto sia difficile esercitarla davvero? Sembra un controsenso? Se qualcuno, in una certa situazione ci dice come comportarci, questo non è più semplice che scegliere il comportamento più funzionale, utile, più congruente con noi stessi, i nostri valori e bisogni?  Indubbiamente. Di nuovo, non sono neanche una nostalgica dell’ autoritarismo, dell’ obbedienza e del conformismo. Solo che se non ho le risorse per scegliere, la mia non sarà una scelta, un mio autodeterminarmi, sarà semplicemente una scelta arbitraria o in altri casi, un mettere in atto un impulso. Inoltre, se ho tre anni forse è meglio se la mamma mette nel carrello l’humburger che preferisce senza tante domande che testino se davvero davvero è proprio quello che voglio.  La mia libertà di esistere così come sono, non verrà tarpata da questo gesto. 

Invece è come se ci fosse continuamente il bisogno di dire al bimbo: io ti ascolto, tu sei libero. Come se avessimo identificato in questo l’essere un buon genitore. Senza peraltro rendersi conto di indurre tutta una serie di problemi quando non c’è nessuna necessità, nessun bisogno di questi problemi. La bimba del supermercato non sentiva nessun bisogno di scegliere tra pollo e tacchino. E un momento quotidiano, come il vestirsi per andare all’ asilo, può diventare un calvario. Vuoi la maglietta rossa? Preferisci quella gialla? Ah questa no, perché non ha il taschino? Allora prendiamo quella ? Ecc. Se ne esce esauriti, spesso arrivando a litigare, genitori stanchi  prima di iniziare la giornata e bimbi scontenti perché alla fine la maglietta indossata è frutto di un’ estorsione, per cui malgrado il momentaneo trionfo, anche il bimbo ne esce sconfitto. E tutta questa energia…per una maglietta?

La libertà implica avere delle possibilità e delle risorse congruenti. Adesso ho un’ infinità di scelte possibili tra cibi, vestiti, giocattoli. Perché devo avere la vita riempita di questi inutili problemi da risolvere?  Sono false scelte perché la soluzione è del tutto arbitraria. E allora perché devo avere costantemente sul groppone il peso di queste scelte?

D’ altra parte però quello che accade con i bambini è anche quello che subiamo noi in primo luogo, continuamente. Siamo tempestati da miriadi di prodotti diversi che inducono falsi bisogni e tante scelte. Abbiamo bisogno davvero di tutta la roba che c’è sul mercato? Di avere 50 tipi di cereali tra cui scegliere? È ridotta a questo la libertà? A me sembra che questo eccesso di opzioni crei un cortocircuito. Ci dà l’ illusione di essere liberi ma sulle questioni davvero importanti.. sono davvero libero di essere autentico, ammesso di sapere di cosa si tratti, di esprimermi secondo i miei valori, sono capace di autodeterminazione? Di autorealizzazione? O lascio da parte queste questioni, illudendomi di essere libero perché posso scegliere se prendere i cereali con le gocce di cioccolato fondente piuttosto che al latte? 

Questo è il paradosso che viviamo e che trasliamo sui nostri bimbi.

Nella bellissima attitudine sviluppata da molti neo genitori, molto più attenti, rispettosi ed empatici con i loro figli, si è insinuata l’idea che i figli debbano decidere in autonomia tutta una serie di cose. Parlo di bimbi in tenera età , di due, tre, quattro anni. Come vestirsi al mattino, con che sfumatura di colore sia meglio affrontare la giornata, per esempio, e anche scelte di comportamento del genitore stesso, come quando il genitore nel parlare con il proprio figlio , sostanzialmente gli chiede il permesso, se può fare o meno una determinata cosa. Il bimbo è investito da un potere e immagino possa esserne gratificato sul momento. Ma lo lasciamo senza una guida a cui appoggiarsi ed affidarsi e i genitori, a lungo andare si trasformano nei servitori di quell’ unico preziosissimo gioiello del loro figlio. Ma il punto è l’incommensurabile solitudine di questi piccoli che crescono acquisendo l’idea che qualsiasi cosa sia loro possibile, che gli adulti e per estensione, il mondo, siano al loro servizio. E a lungo andare le istanze infantili prendono il sapore delle pretese prima e dell’ inevitabile frustrazione poi. Il risultato è genitori frustrati e bambini scontenti. E il piacere della relazione si perde, lo stato prevalente diventa la fatica. 

Quindi essere liberi o non essere liberi? Siamo vittime di un pensiero dicotomico. Abbiamo trascorso una lunga fase di educazione autoritaria in cui i figli facevano quello che i genitori comandavano e punto. Per poi ribaltare la situazione a 180 gradi, in cui il potere di fare e disfare è consegnato nelle mani di un bimbo di tre anni. Naturalmente questo ribaltone ha cause sociali ed economiche e il discorso è complesso e non è questa la sede per affrontarlo. 

Semplicemente dovremmo imparare a tenere insieme quello che ci sembra opposto, perché gli estremi, presi da soli , generalmente producono conseguenze nefaste.

La libertà non è una qualità innata dell’ essere umano. Quella è la reattività, sono due cose un po’ diverse. E lo sguinzagliare i propri istinti, non è libertà. È essere disregolati, in balia degli stimoli esterni o degli impulsi interni, vittime di una apparente onnipotenza che ci rende sempre meno sensibili e capaci di cogliere i bisogni, le intenzioni, la mente, propria e dell’ altro.  Il bimbo riconosce se stesso sentendosi nella mente del genitore. È lo sguardo del genitore che gli rimanda chi è, che costruisce piano piano la consapevolezza di sé. E tutte queste domande su cosa vuoi, invece disorientano profondamente.

La libertà non è innata, si costruisce validando gli stati emotivi e affettivi del proprio bimbo, riconoscendone i bisogni, restituendogli il piacere di stare insieme, dando regole, confini e contenimento. Non inducendo delle scelte arbitrarie per fargli sentire di essere libero. Insomma la libertà la si apprende. E la definizione più bella di libertà che abbia trovato per chiudere tutto questo discorso me la fornisce non un pedagogista, non un educatore, uno psicologo o un filosofo, ma un cantante di un gruppo punk rock:

” La libertà è una forma di disciplina”.

by Serena Naldi

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