“cemento naturale” dei Campi Flegrei e il leggendario calcestruzzo romano.
Napoli, nei pressi di Pozzuoli, in quell’area vulcanica chiamata Campi Flegrei.
Qui gli scienziati hanno scoperto qualcosa di sorprendente: una roccia naturale fibrorinforzata, molto simile al calcestruzzo inventato dagli antichi Romani e utilizzato per costruire opere straordinarie come il Pantheon, il Colosseo e i porti commerciali di tutto il Mediterraneo. Questa scoperta ha permesso ai ricercatori, non solo di far luce su alcuni misteriosi fenomeni sismici dell’area, ma potrebbe anche dare il via alla creazione di materiali da costruzione più resistenti, durevoli ed ecologici in futuro.
“Ciò implica l’esistenza di un processo naturale nel sottosuolo dei Campi Flegrei simile a quello utilizzato per produrre il calcestruzzo”, ha affermato Tiziana Vanorio, geofisica sperimentale presso la Stanford School of Earth, Energy & Environmental Sciences.
La scoperta sotto i Campi Flegrei, un supervulcano dormiente nell’Italia meridionale, di una roccia simile al cemento romano spiega perché il terreno sotto la città di Pozzuoli si è sollevato di diversi metri negli anni ’80.
I Campi Flegrei: una caldera viva sotto Pozzuoli.
I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica, una grande depressione creata da eruzioni passate (l’ultima delle quali risale a circa 500 anni fa). Al centro si trova la città portuale di Pozzuoli, fondata dai Greci nel 600 a.C. e fiorita come importante scalo commerciale nell’Impero Romano.
Sebbene oggi il vulcano sia dormiente, il sottosuolo rimane decisamente attivo. Tra il 1982 e il 1984, il sotto Pozzuoli iniziò a sollevarsi rapidamente, facendo un innalzamento di oltre 1,8 metri: in soli due anni, un fenomeno mai registrato altrove con tale intensità. Questo “rigonfiamento” rese il porto poco profondo per le grandi navi e fu accompagnato da sciami di micro-terremoti, generalmente di scarsa intensità se non impercettibili. Ma quando una scossa di magnitudo 4 colpì la zona, le autorità decisero di evacuare il centro storico, trasformando Pozzuoli in una città fantasma quasi dall’oggi al domani. Tra i 40.000 sfollati c’era una giovane studentessa: Tiziana Vanorio, oggi scienziata alla Stanford e, da allora, determinata a capire il misterioso comportamento di quel territorio.
Una serie di reazioni chimiche che si verificano sotto il supervulcano dei Campi Flegrei in Italia sta creando calce che reagisce con la cenere vulcanica nella roccia di copertura per formare una sostanza simile al cemento.
Una roccia speciale: il cemento naturale dei Campi Flegrei.
“Il rigonfiamento del terreno si verifica anche in altre caldere, come Yellowstone o Long Valley negli Stati Uniti, ma mai a questa intensità, e di solito richiede un sollevamento molto inferiore per innescare terremoti in altri luoghi”, spiega Vanorio. “Ai Campi Flegrei, i microterremoti sono stati ritardati di mesi, nonostante le deformazioni del terreno davvero notevoli”.
Per capire come la superficie della caldera partenopea riuscisse a resistere alle forti sollecitazioni senza subire improvvise e violente rotture, Vanorio e la collega Waruntorn Kanitpanyacharoen (professore associato presso l’Università di Chulalongkorn, Bangkok, Thailandia) hanno analizzato campioni di roccia prelevati negli anni ’80 da perforazioni profonde fino a 3 km, scoprendo che lo strato superficiale della caldera era ricca di pozzolana, una cenere vulcanica della regione che i Romani utilizzavano nei loro calcestruzzi. Ma ciò che rese la scoperta unica fu la presenza di due minerali fibrosi: tobermorite ed ettringite.
Questi due minerali, utilizzati anche nel calcestruzzo artificiale, formano una sorta di rete interna di fibra che rende la roccia più duttile, capace di resistere a pressioni enormi più a lungo prima di rompersi. Questo spiega perché il terreno di Pozzuoli ha potuto deformarsi tanto prima di generare micro-terremoti.
Ma da dove vengono questi minerali? Ancora grazie ai carotaggi, si è scoperto che in profondità la caldera poggia su rocce carbonatiche (simili al calcare), nelle quali era presente anche l’actinolite.
“L’actinolite è stata la chiave per comprendere tutte le altre reazioni chimiche che hanno dovuto verificarsi per formare il cemento naturale nei Campi Flegrei”, ha affermato Kanitpanyacharoen.
È stata la presenza di questo minerale aghiforme ad indirizzare i ricercatori nella giusta direzione: in quel sottosuolo, a contatto con acqua calda ricca di minerali e con il calore del vulcano, il basamento profondo subisce una reazione detta decarbonatazione, portando alla formazione di actinolite e anidride carbonica.
Quest’ultima interagisce con il carbonato di calcio e l’idrogeno presenti nelle rocce del basamento, producendo così diversi composti. Uno dei quali è l’idrossido di calcio (noto anche come calce idrata): proprio questo è uno dei due ingredienti chiave del calcestruzzo artificiale…incluso il calcestruzzo romano.
Quando questa calce risale verso gli strati più superficiali e si combina con la cenere di pozzolana, “cementa” i sedimenti e forma una roccia compatta, resistente e quasi impenetrabile.
“Si tratta della stessa reazione chimica che gli antichi romani sfruttarono inconsapevolmente per creare il loro famoso calcestruzzo, ma nei Campi Flegrei avviene in modo naturale”, spiega Vanorio.
I Romani ancora fonte d’ispirazione.
Vanorio ritiene che gli antichi romani abbiano scoperto il segreto del loro cemento proprio osservando i fenomeni naturali della zona di Pozzuoli.
Lo stesso filosofo Seneca scrisse che “la polvere di Puteoli (nome latino della città) diventa pietra se tocca l’acqua”.
Anche Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, scrive: “Chi, in effetti, non può non sorprendersi nel trovare le parti costituenti più inferiori di essa (la Terra), conosciute solo come ‘polvere’, che formano una barriera contro le onde del mare, trasformandosi in pietra nel momento della loro immersione e aumentando di durezza di giorno in giorno?”
Grazie alla loro propensione nell’osservare, i Romani pensarono di mescolare pozzolana, acqua di mare e calce per ottenere un materiale eccezionale, capace di indurirsi anche sott’acqua e di resistere per millenni. Non a caso i porti romani, i moli di Alessandria, Cesarea e Cipro, e soprattutto la cupola del Pantheon (la più grande mai realizzata in calcestruzzo non armato) sono ancora in piedi dopo quasi duemila anni.
Una reazione chimica tanto “costruttiva” quanto “distruttiva”.
Invero, la stessa reazione chimica che dona proprietà eccezionali alla roccia di copertura dei Campi Flegrei può determinarne anche la rottura. Infatti, se il processo di decarbonatazione produce troppa anidride carbonica, metano o vapore, questi gas risalgono verso la superficie, accumulando pressione sotto lo strato di “cemento naturale”. Quando la pressione supera la resistenza della roccia, questa si deforma e si frattura, causando i micro-terremoti e il sollevamento del terreno, come accadde negli anni ’80 a Pozzuoli. Ma, Vanorio e Kanitpanyacharoen credono che, grazie anche alla produzione di più calce naturale in profondità e poi trasportata in superficie, la roccia danneggiata sia stata lentamente riparata con la conseguente produzione di ulteriore cemento naturale.
In pratica, col tempo, in una sorta di perenne circolo virtuoso, il sistema tende ad “autoripararsi” con la calce naturale che continua a circolare e a “ricementare” le fratture: ma il fenomeno va avanti sostenuto da un equilibrio assolutamente precario, restando, di fatto, un potenziale rischio per l’area.
Il cemento del futuro che viene dal passato.
Oggi, assieme al vetro e all’acciaio, il cemento è, indubbiamente, uno dei materiali da costruzione più usati al mondo, ma la sua produzione richiede di scaldare il calcare a oltre 1400°C, liberando enormi quantità di CO₂ nell’atmosfera. Si stima, infatti, che l’industria del cemento sia responsabile di circa l’8% delle emissioni globali di anidride carbonica.
Tiziana Vanorio, ispirata dal processo naturale di Pozzuoli, sta lavorando con altri ricercatori di Stanford per sviluppare un cemento più ecologico, sfruttando rocce ignee “precotte”, naturalmente prive, cioè, di carbonati che emettono CO₂ durante la lavorazione. In laboratorio sono riusciti a riprodurre la rete di fibre microscopiche presenti nelle rocce dei Campi Flegrei, creando un materiale che unisce resistenza, duttilità e capacità di autoripararsi quando danneggiato e che non necessita di barre d’acciaio per il rinforzo. Questa tecnologia potrebbe offrirci costruzioni più durevoli, sicure e, soprattutto, a basso impatto ambientale.
Vanorio e il suo staff hanno fondato Phlego, una start-up che punta a portare nella grande produzione e sul mercato questo innovativo (e antico allo stesso tempo) cemento sostenibile.
C’è sempre da imparare.
Questo studio sul “cemento naturale” dei Campi Flegrei ci ha dato un esempio straordinario di come processi naturali, osservazioni antiche e scienza moderna possono unirsi per ottenere risultati eccellenti. I Romani, attenti osservatori della natura, inventarono un materiale unico che sfida i secoli e, fino ad oggi, anche l’intelletto dell’uomo “moderno” che ha sempre cercato di ricreare questo “santo Graal” dei cementi.
Oggi, i ricercatori potrebbero aver capito quei processi sotterranei per realizzare quella miscela perfetta, ispirandosi alla chimica della Terra stessa, e il fatto che a capo di questa ricerca ci sia proprio una “Pozzolana” DOC ci spinge a sognare che si tratti più di una coincidenza.
Un cerchio perfetto…
Dalle profondità di un vulcano nostrano dormiente alla cupola del Pantheon, alle mura del Colosseo, fino ai laboratori di Stanford per mano di una “ragazza” di Pozzuoli: osservazione della natura, profonda conoscenza del passato e consapevolezza delle proprie origini…il cerchio si chiude.
by O. D. B.
Fonti:
https://news.stanford.edu/stories/2015/07/concrete-roman-volcano-071015