FIRENZE 29 Ott. 2025 – In un’epoca in cui l’occhio umano è ormai abituato a decifrare il mondo attraverso schermi e pixel, c’è chi ha deciso di dichiarare guerra all’artificio, usando le sue stesse armi. Ma per farlo, non si è servito di un computer, bensì di un pennello. E di una pazienza da certosini del XXI secolo.
Il riconoscimento conferito al collettivo MaMà Dots alla XV Florence Biennale – una “Special Commendation from the President” – non è solo un altro premio da appendere in atelier. È un manifesto, una presa di posizione potente in un dibattito che infiamma il mondo dell’arte e non solo: cosa resta, dell’umano, quando l’intelligenza artificiale può simulare (o forse superare?) la nostra creatività?
La risposta di MaMà Dots, famiglia di artisti uniti nella vita e nell’arte, è semplice e folgorante nella sua esecuzione: il Pop Pointillism. Un ossimoro diventato linguaggio. Minuscoli punti di colore a olio, stesi con precisione quasi maniacale, che a distanza compongono immagini ipermoderne, icone pop che sembrano uscite da un social network o generate da un AI. Eppure, ogni singolo “pixel” è tangibile, materico, profondamente umano.
Mentre Tim Burton, altro genio visionario premiato in questa edizione, costruisce i suoi mondi onirici con la macchina da presa, MaMà Dots compie un’operazione opposta e complementare: porta il sogno digitale nella tangibles della tela. È qui che la loro ricerca diventa etica prima ancora che estetica. In un secolo turbolento, dominato da individualismo e materialismo, il loro collettivo familiare è di per sé un atto di resistenza. E la loro tecnica, che imita l’algoritmo per celebrarne il superamento, è una sfida silenziosa ma tenace.
Non è un caso che la Marina Militare Italiana abbia scelto le loro opere per entrare a far parte del suo patrimonio permanente a bordo della Nave Amerigo Vespucci, simbolo di un’italianità fatta di coraggio, arte e saper fare. È l’incontro tra due eccellenze che parlano di eredità e futuro: la “Nave più bella del mondo”, emblema di una tradizione marinara secolare, e un’arte che, come un moderno pointillisme, usa migliaia di gesti minuscoli e precisi per raccontare la complessità del presente.
La stilista Anna Fendi, madrina del collettivo, ha colto nel segno paragonandoli a Warhol. Come l’artista della Factory svelò l’essenza della società dei consumi moltiplicando le lattine di zuppa, MaMà Dots smonta il meccanismo della nostra percezione visiva, mostrandoci che ciò che crediamo “digitale” può essere, in realtà, un atto di amorevole artigianato.
Il successo alla Biennale di Firenze e la prossima consacrazione americana ad Art Miami, non sono quindi solo il trionfo di un gruppo di artisti. Sono il segnale di un bisogno collettivo. In un mondo saturo di immagini effimere, generate in pochi secondi da un comando, l’opera di MaMà Dots ci costringe a rallentare, a avvicinarci, a cercare la mano, l’errore, l’anima. Ci ricorda che la bellezza, a volte, non è una risposta immediata, ma un puzzle complesso di gesti e significati.
Il loro è un inno alla “lentezza” creativa, alla perseveranza del gesto. In un’epoca che corre verso un futuro sempre più automatizzato, il loro successo ci dice forse che la vera, prossima avanguardia, non sarà quella che imita le macchine, ma quella che, conoscendone il linguaggio, ha il coraggio di restare profondamente, irriducibilmente, umana. Perché, come dicono loro, “l’arte è un’esplosione di vita, non un rifugio esistenziale”. E la vita, per quanto possa assomigliare a un codice, è fatta di punti colorati, non di zeri e di uno.
by Tito Genovesi per ItaloArte



