La natura, da sempre, si rivela mentore per eccellenza nell’apprendimento e sviluppo di nuove tecnologie. Ma è davvero difficile valutare l’impatto che potrebbe avere sulle nostre vite questo suo nuovo insegnamento.
I nomi sono:
. Jun Yao (assistente professore) e Xiaomeng Liu, entrambi laureati in ingegneria elettrica e informatica presso il College of Engineering dell’UMass Amherst.
. Derek Lovley, professore di microbiologia anch’egli presso l’UMass Amherst
Nel 1987 il prof. Lovley si era già distinto per le sue ricerche (e isolandolo per primo) sul Geobacter sulfurreducens, protobatterio capace di produrre elettricità e, successivamente, nel 2003, rivelandolo come potenziale candidato ideale per la realizzazione di una efficiente, quanto duratura, cella combustibile microbica (MFC).
Nel 2020 poi, torna alla ribalta, al fianco di Jun Yao, per un articolo su Nature: del team facevano parte anche Ashleigh Kropp e Rhys Grinter, con a capo il prof. Chris Greening, presso la Monash University Biomedicine Discovery Institute (BDI) di Melbourne.
Nella pubblicazione, rendevano nota la straordinaria capacità di un’ enzima (estratto da un comune batterio del suolo chiamato Mycobacterium smegmatis) di convertire l’idrogeno, presente nell’aria, in corrente elettrica. Questo enzima, denominato Huc, appartiene alla famiglia delle idrogenasi, proteine che, invece dell’ossigeno, dividono le molecole di idrogeno (H2) per ottenere energia e viceversa. Ma, a differenza di altri enzimi e catalizzatori simili, questo si è dimostrato particolarmente efficiente (riesce ad interagire anche con la quantità di idrogeno scarsamente presente in atmosfera, appena lo 0,00005%) e straordinariamente stabile anche in condizioni estreme, infatti, la sua capacità di produrre energia, resta invariata dalle temperature di congelamento fino agli 80°C.
Ricerca che rappresenta, a tutti gli effetti, un possibile futuro di produzione di elettricità attraverso piccoli dispositivi, direttamente dall’aria e a zero emissioni.
E ora (solo per ora…) l’atto finale:
“Tutto questo è molto eccitante. Stiamo aprendo un’ampia porta per la raccolta di energia pulita dal nulla”.
Questo è quanto afferma un’entusiasta Xiaomeng Liu, autore principale della pubblicazione.
Continua Jun Yao, autore senior del documento: “L’aria contiene un’enorme quantità di elettricità. Pensate ad una nuvola: non è altro che una massa di goccioline d’acqua. Ognuna di queste goccioline contiene una carica e, quando le condizioni lo permettono, la nuvola può produrre un fulmine, ma non sappiamo come catturare in modo affidabile l’elettricità dai fulmini. Quello cha abbiamo fatto è creare una nuvola artificiale, su scala più piccola, che può quindi produrre elettricità in modo prevedibile, costante e utilizzabile”.
Il “cuore” della nuvola artificiale dipende da quello che i suoi creatori chiamano generic Air-gen effect, o meglio la diretta conseguenza di quella prima scoperta di Lovley nel 1987 e della sua collaborazione poi nel 2020 con Yao: la raccolta di elettricità dall’aria, utilizzando un materiale costituito da nanofili proteici cresciuti dal batterio Geobacter sulfurreducens.
“Ciò di cui ci siamo resi conto dopo aver scoperto il Geobacter”, dice Yao, “è che la capacità di generare elettricità dall’aria – quello che allora abbiamo chiamato effetto Air-gen – risulta essere, appunto, generica: letteralmente qualsiasi tipo di materiale può raccogliere elettricità dall’aria, purché abbia una certa proprietà […] o meglio avere fori più piccoli di 100 nanometri (nm), meno di un millesimo della larghezza di un capello umano.”
La necessità di operare in condizioni così microscopiche è dovuta ad un parametro noto come mean free path, vale a dire la distanza che intercorre tra due molecole della stessa sostanza, in questo caso, appunto, le molecole d’acqua contenuta nell’aria, e questa “distanza vitale” è difatti 100nm.
Questo generatore dovrà essere costituito da un sottile film di materiale (7 micron) “tempestato” di nanopori inferiori a 100 nm che permetteranno il passaggio dall’alto verso il basso delle molecole d’acqua.
Ma visto la ridotta dimensione dei pori, le molecole d’acqua urteranno anche contro il loro bordo mentre passano attraverso lo strato sottile. Ciò significa che la parte superiore dello strato sarà investita da molte più molecole d’acqua portatrici di carica rispetto alla parte inferiore, creando uno squilibrio di carica (come quello che si verrebbe a formare in una nuvola) e poiché la parte superiore aumenta la sua carica rispetto alla parte inferiore, darà vita, a tutti gli effetti, ad una batteria che funzionerà finché sarà disponibile umidità nell’aria.
Un generatore che potrebbe essere progettato, come già detto, con una serie sterminata di materiali, offrendo così un’ampia adattabilità a situazioni e condizioni ambientali differenti e, visto che l’umidità nell’aria è sempre presente, sarebbe in grado di funzionare h24, 7 giorni su 7, indipendentemente dalle condizioni meteo.
Ultimo, ma non ultimo, il fattore ingombro: parliamo di uno spessore che è la frazione di un capello umano. Potrebbero essere “impilati” in migliaia, aumentando efficienza energetica senza significativi problemi d’ingombro per i dispositivi.
Air-gen potrebbe essere l’ideale anche per i dispositivi wearables (per ricaricare dal “preistorico” telefonino a sensori integrati di nuova generazione) oppure nelle vernici per l’edilizia (fornendo energia ad elettrodomestici e sistemi d’illuminazione).
Vi lascio con una dichiarazione del prof. Jun Yao:
“Immaginate un mondo futuro in cui l’elettricità pulita sia disponibile ovunque tu vada. Generic Air-gen effect significa che questo futuro può diventare realtà.”
By O.D.B.
Fonte: .“Engineers at UMass Amherst harvest abundant clean from thin air”, University of Massachusetts Amherst.
“Generic Air-Gen Effect in Nanoporous Materials for Sustainable Energy Harvesting from Air Humidity”. Advanced Materials, Wiley Online Library
. “Un enzima trasforma l’aria in elettricità – Possibile fonte di energia pulita per i piccoli dispositivi del futuro”, ansa.it
. “Elettricità dall’umidità dell’aria: si può, grazie alle proteine”, Rosario Tolomeo, energycue.it