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Biobot: animali programmabili con IA, potenziali applicazioni militari

italo red italo

16 Nov. 2025

Salamandre e capacità rigenerativa

Ultimamente si è parlato molto delle salamandre e della loro capacità di rigenerare autonomamente tessuti, organi o arti. L’attenzione si è concentrata su un anfibio in particolare, l’Axolotl, noto per la sua abilità di rigenerare arti, midollo spinale, cuore e persino parti del cervello. Sfruttando il potenziale genetico di questo animale, potremmo assistere a significative evoluzioni non solo in medicina rigenerativa, ma anche nel campo delle biotecnologie programmabili. Esattamente, si potrebbe replicare quanto già avvenuto con gli Xenobot (argomento già trattato da Italo, vi invitiamo a leggere: https://italored.it/singolarita-biologica-self-made-il-brodo-primordiale-di-rospo), che hanno alla loro base un altro anfibio, lo Xenopus. Ma cosa accomuna Axolotl e Xenopus? La capacità rigenerativa.

Animali ingegnerizzati con IA

Il futuro della biotecnologia si sta scrivendo osservando la natura. Dopo il successo degli Xenobot, potrebbe profilarsi all’orizzonte una nuova generazione di organismi programmabili: gli AxoBot. Questi non sarebbero semplici robot, ma entità biologiche auto-rigeneranti ispirate proprio all’axolotl.

Mentre i loro predecessori traggono origine dalle cellule della rana Xenopus, gli AxoBot potrebbero attingere al potenziale genetico di questa salamandra, celebre per la sua capacità quasi miracolosa. Questo salto evolutivo aprirebbe scenari non solo per la medicina rigenerativa, ma per l’intero campo delle biotecnologie, verso un futuro in cui macchine biologiche potrebbero autoripararsi in modo autonomo.

Cellule soccorritrici

Il segreto per realizzare questa visione risiede in un meccanismo cellulare profondamente conservato nell’evoluzione. La differenza cruciale sta nella prontezza di risposta delle cosiddette “cellule soccorritrici”. Nell’axolotl adulto, queste cellule si attivano immediatamente dopo una lesione, mentre nella rana Xenopus adulta questo meccanismo rimane “spento”. La chiave di volta è una proteina, la Musashi-1, che funge da interruttore molecolare. Esperimenti dimostrano che le cellule dell’axolotl rispondono a segnali di crescita attivando questo interruttore, mentre quelle delle rane adulte lo ignorano.

La vera promessa, quindi, potrebbe risiedere in ibridi ancor più avanzati: degli “axoxenoBot”, che unirebbero la robustezza cellulare dello Xenopus con l’inesauribile capacità rigenerativa dell’axolotl. Non è un’idea campata in aria, ma una possibilità fondata su una profonda parentela evolutiva. Questi due animali, infatti, condividono un antenato comune risalente a oltre 340 milioni di anni fa, un anfibio primitivo che visse nel periodo Carbonifero. Questo antico progenitore diede origine a due linee evolutive distinte che avrebbero portato, da un lato, agli urodeli (salamandre e tritoni) e, dall’altro, agli anuri (rane e rospi). Non conosciamo l’aspetto esatto di questo animale, ma i reperti fossili di anfibi di quel periodo (come Gerobatrachus o Amphibamus) suggeriscono che fosse un animale di piccole-medie dimensioni, dall’aspetto forse intermedio tra una salamandra e una rana primitiva, con un corpo probabilmente allungato e quattro zampe, che viveva in ambienti umidi e paludosi.

I biobot

Il percorso è già tracciato dagli Xenobot, assemblati per creare piccoli robot biologici in grado di muoversi e biodegradarsi autonomamente. L’obiettivo finale di questa ricerca non sarebbe quello di telecomandarli, ma di progettarli con un’intelligenza intrinseca tale da permettere loro di operare in modo autonomo, proprio come i globuli bianchi sanno naturalmente localizzare e neutralizzare un agente patogeno.

Tuttavia, proprio come accade in biologia, questa strada presenta dei risvolti critici. Analogamente a quanto avviene nelle malattie autoimmuni, future evoluzioni di questi biobot potrebbero, in teoria, malfunzionare. La sfida, quindi, non sarebbe solo creare, ma anche prevedere e controllare il potere della vita che stiamo imparando a plasmare. La frontiera è aperta e la direzione da prendere è nelle nostre mani.

Scenari Militari Ipotetici per le Biotecnologie Rigenerative

Quando si parla di possibili applicazioni militari per queste tecnologie, è fondamentale sottolineare che ci muoviamo nel campo della speculazione teorica, sebbene basata su sviluppi scientifici reali. Gli scenari possibili coprono uno spettro che va dall’umanitario al profondamente inquietante.

Biobot medicanti

L’ambito più immediato ed eticamente meno controverso riguarda la medicina da campo avanzata. Possiamo immaginare un futuro in cui un soldato gravemente ferito possa ricevere un’iniezione di gel contenente “biobot medicanti“. Questi microrganismi programmati potrebbero intervenire immediatamente per ricucire ferite interne, ricollegare vasi sanguigni danneggiati o addirittura iniziare la ricostruzione di tessuti nervosi lesionati. Sebbene più futuristica, la rigenerazione controllata di arti rappresenta l’apice di questo filone di ricerca.

Ricognizione e sorveglianza

Un’altra applicazione teorizzata è quella della ricognizione e sorveglianza. Sciami di questi microrganismi, grazie alle dimensioni ridotte e alla loro natura biologica, potrebbero essere dispersi in territorio nemico per mimetizzarsi nell’ambiente e agire come sensori viventi. La loro missione sarebbe rilevare la presenza di agenti chimici, esplosivi o radiazioni, oppure infiltrarsi in infrastrutture critiche per monitorarne le attività senza essere individuati dai normali sistemi di sicurezza.

Corrosione biologica

Più aggressiva è l’ipotesi dello smantellamento infrastrutturale tramite corrosione biologica. In questo scenario, sciami specializzati potrebbero essere utilizzati per un sabotaggio silenzioso, corrodendo selettivamente componenti critici di installazioni nemiche come piste di decollo, sistemi radar o veicoli, secernendo enzimi o sostanze acide in modo coordinato.

Sistemi d’arma diretti

Gli scenari più controversi riguardano però i sistemi d’arma diretti. Qui la ricerca potrebbe deviare verso applicazioni decisamente più cupe, come lo sviluppo di armi neurotrope che, al contatto con un bersaglio umano, rilasciano tossine o interferiscono con le funzioni neurologiche. Esistono anche teorie su armi “soffici” progettate per causare incapacitazione temporanea, magari ostruendo reversibilmente l’afflusso sanguigno cerebrale.

Criticità e rischi ineguagliabili

Queste potenzialità straordinarie si scontrano con rischi altrettanto enormi. Il pericolo principale è la perdita di controllo: i sistemi biologici sono intrinsecamente imprevedibili e soggetti a mutazioni che potrebbero portare a comportamenti catastrofici e irreversibili. Si pone inoltre il problema del “interruttore di spegnimento”: come si disattiva uno sciame di organismi auto-rigeneranti una volta rilasciato?

La sottile linea tra terapia e arma rappresenta un altro dilemma cruciale. La stessa tecnologia che rigenera un nervo potrebbe essere riprogrammata per distruggerlo, rendendo il dual-use particolarmente pericoloso. Infine, questi sistemi potrebbero rivelarsi vulnerabili a contromisure che ne alterano il comportamento, volgendoli potenzialmente contro i loro stessi creatori.

In conclusione

Il ventaglio di possibili applicazioni militari spazia dalla rivoluzione umanitaria nella medicina da campo all’incubo distopico di armi biologiche autonome. La discussione etica e il quadro normativo internazionale devono evolversi alla stessa velocità della ricerca biotecnologica, per garantire che queste potenti tecnologie vengano sviluppate e impiegate con la massima responsabilità.

by Roosteram

Fonti:

https://link.springer.com/article/10.1186/1471-213X-14-32

https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC5835034

https://ijcr.eu/articole/677_006%20Georgel%20Rusu.pdf

The Limitations of the Law of Armed Conflicts: New Means and Methods of Warfare

DOI: https://doi.org/10.1163/9789004468863_011

capitolo 9 pag 217-228 The Use of Biobots as a Means of Warfare in the New Armed Conflicts – Miguel Ángel Martín López

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