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VIRUS 1 – BATTERI 0

Uno studio a Yale illumina le strategie dei virus contro i batteri.

Un gruppo di ricercatori della Yale University ha recentemente sviluppato un metodo innovativo per osservare come i virus che infettano i batteri (noti come batteriofagi o, più semplicemente, fagi) si legano alle cellule batteriche. Questo passaggio, chiamato “adesione del fago”, è la fase iniziale e fondamentale dell’infezione. Comprenderlo a fondo potrebbe aprire la strada a nuove terapie contro le infezioni resistenti agli antibiotici e offrire strumenti diagnostici più precisi.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences nel dicembre scorso, è stato guidato da Jyot Antani, ricercatore associato presso Yale, con il sostegno dello Yale Center for Phage Biology and Therapy, del National Institutes of Health e dell’Howard Hughes Medical Institute Emerging Pathogens Initiative. Il lavoro propone una nuova tecnica di osservazione che si basa sulla microscopia a fluorescenza e sul tracciamento delle particelle e i risultati sono sorprendenti.

I Fagi: cosa sono e perché sono importanti.

I fagi sono virus altamente specializzati che infettano esclusivamente i batteri. Presenti ovunque (nel suolo, negli oceani, persino nel nostro corpo) rappresentano uno dei sistemi biologici più abbondanti sulla Terra, quindi, le loro interazioni influenzano la funzione dell’ecosistema come le dinamiche del microbioma. Alcuni di essi, i cosiddetti fagi litici, entrano nelle cellule batteriche, si replicano al loro interno e poi le distruggono. Questo meccanismo può essere sfruttato in medicina per combattere batteri patogeni che non rispondono più agli antibiotici tradizionali.

Ma, per rendere i fagi “armi biologiche” mirate, è fondamentale capire come riconoscono e si attaccano a un determinato batterio, o meglio, occorre conoscere nel dettaglio l’interazione iniziale tra virus e cellula bersaglio. Fino a oggi, questo passaggio era studiato con metodi dispendiosi, inefficienti, lenti e poco precisi, che offrivano solo una visione d’insieme sulla popolazione virale: il cosiddetto metodo del test di adsorbimento. Un processo che prevede l’amalgama di batteri e fagi e, quindi, il conteggio del numero di fagi “liberi” man mano che si esauriscono nel tempo.

Il salto tecnologico: vedere i virus all’opera.

Il nuovo metodo descritto da Antani e colleghi rappresenta un cambio di paradigma.

“Abbiamo deciso di misurare l’adesione delle singole particelle virali alle cellule visualizzandole direttamente al microscopio”, ha affermato Antani. “Utilizzando il tracciamento automatico delle particelle, calcoliamo il ‘tempo di permanenza’ – ovvero il tempo che un fago trascorre interagendo con le cellule batteriche – per misurare l’adesione del fago a una risoluzione a livello di singolo virus […] in pratica, utilizziamo un microscopio per misurare ‘l’adesività’ dei fagi nei confronti dei batteri.”

Grazie a un sofisticato sistema di microscopia a fluorescenza, i ricercatori sono riusciti a osservare il comportamento di singoli fagi marcati con coloranti speciali, mentre interagivano con cellule batteriche bloccate su un vetrino.

Una telecamera registra tutto e un software ricostruisce i movimenti dei virus, tracciando la loro “traiettoria” e calcolando quanto tempo restano attaccati alla cellula. Questo parametro, chiamato “tempo di permanenza”, permette di misurare con estrema precisione l’adesività del fago. È un po’ come osservare una stretta di mano tra due individui e misurare quanto dura: più è lunga, più è forte il legame.

Una visione HD del legame virus-batterio.

Il vantaggio principale del nuovo metodo è la sua capacità di offrire una fotografia precisa e dinamica delle interazioni a livello di singola particella.

“Abbiamo notato una variazione significativa nella durata di queste traiettorie [tempo di permanenza], evidenziando l’eterogeneità nell’adesione delle particelle virali”, ha affermato Antani.

In altre parole, non tutti i virus si comportano allo stesso modo: alcuni si legano più a lungo, altri meno, e ora possiamo finalmente studiarne le differenze.

Per validare il nuovo approccio, i ricercatori hanno confrontato i risultati ottenuti con le misurazioni fornite dal classico test di adsorbimento, e i dati si sono rivelati coerenti.

“Calcolando il tempo di permanenza medio e confrontandolo con le costanti di velocità di adsorbimento tradizionali, – chiarisce Antani – abbiamo confermato che le nostre misurazioni a singolo virus corrispondono fedelmente alle misurazioni tradizionali in massa, convalidando così il nostro nuovo metodo”.

Un futuro radioso di opportunità.

Appare chiaro che le applicazioni di questa nuova tecnologia vanno ben oltre la semplice osservazione. Il team di Yale ha già in mente un ambizioso progetto: selezionare fagi specifici per colpire ceppi batterici precisi, a partire da campioni clinici prelevati da pazienti. Questa rinnovata e migliorata capacità di identificazione della specificità fagica potrebbe aiutare a individuare specie batteriche da campioni fuori dai laboratori, in ambienti clinici ed ecologici.

“Aspiriamo a sviluppare un dispositivo portatile per la diagnosi in loco e stiamo cercando partnership industriali per accelerare questo processo”, ha confermato Antani.

E non mancano prospettive di ulteriori miglioramenti.

Secondo Paul Turner, coautore dello studio, “Vediamo l’opportunità di sviluppare altri metodi per misurare le caratteristiche delle singole particelle virali, ad esempio quando i fagi interagiscono con le cellule batteriche ospiti durante le fasi di replicazione successive al processo di adesione”.

Ma nonostante tutto…

Lo studio della Yale University rappresenta un vero salto in avanti nella qualità della comprensione delle interazioni tra virus e batteri, una vera rivoluzione della terapia fagica e della diagnostica microbiologica. Se fino a ieri studiare l’adesione di un virus significava investire tempo, energie e risorse per ottenere solo dati imprecisi, oggi è possibile osservare, misurare, capire in tempo reale, in maniera efficiente e, soprattutto, a livello di singolo virus.

 Tutto grazie ad una fucina di idee corroborata da alcune delle migliori menti accademiche del paese…che però rischia di vedere vanificare i propri sforzi per mano del suo stesso Presidente in carica.

Di seguito, la dichiarazione integrale di Kevin Dennehymanaging editor della Yale University, pubblicata il 15 aprile scorso sul sito dell’università, proprio nell’articolo che descrive questa ricerca:

 “Questa ricerca è stata condotta in collaborazione con il National Institutes of Health (NIH) tramite una sovvenzione che comprende il rimborso delle spese amministrative e delle strutture (noti anche come rimborsi dei costi indiretti) necessari per garantire lo svolgimento sicuro della ricerca e il rispetto delle normative federali.

A febbraio, il NIH ha annunciato che avrebbe drasticamente ridotto i rimborsi alle università, tra cui Yale. I tribunali hanno temporaneamente bloccato i tagli, ma la minaccia permane.

In gioco c’è la ricerca che salva vite umane, rafforza l’economia e sostiene gli interessi nazionali. Tra i progetti di Yale in pericolo ci sono ricerche che salvano i bambini nati con difetti cardiaci, prolungano la vita dei malati di cancro, affrontano i problemi di salute mentale e prevengono e rallentano gli effetti del morbo di Alzheimer.”

Kevin Dennehy

«Una vena di anti-intellettualismo si è insinuata nei gangli vitali della nostra politica e cultura, alimentata dalla falsa nozione che democrazia significhi “la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza”.»

Isaac Asimov

Da “Un culto dell’ignoranza”, Newsweek, 21 gennaio 1980.

by O. D. B.

Fonti:

https://news.yale.edu/2025/04/virus-cell-interactions

https://www.pnas.org/doi/10.

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