
Riflettendo sull’ultimo confronto con Unrat (spazzatura)/ Prof. Immanuel Rath, Old Timer ha creduto opportuno lasciargli spazio, per farne emergere la complessa figura letteraria e filmica.
Come è noto Unrat si è trovato nella scomoda situazione, in quanto protagonista del romanzo di Heinrich Mann (Professor Unrat/ Il Professore Spazzatura – L’Angelo Azzurro o La fine di un tiranno – 1905) e del celeberrimo film di von Sternberg (Der Blaue Engel – L’Angelo Azzurro – 1930, di essere un personaggio con due autori, anziché nemmeno uno. Sembra proprio che la diversa modalità espressiva abbia creato quasi un “disturbo bipolare”.
Difficile, quindi, fornire al Professor Unrat/Rath una precisa identità L’altra difficoltà è che Unrat ha almeno due date di nascita ufficiali, oltre alle innumerevoli attribuitegli ogni volta che il romanzo di Heinrich Mann è stato letto o il film di Sternberg è stato visto. Anche se lui è, invece ,geloso della sua duplice nascita e rifiuta l’idea un’identità incerta.
Per noi, però, risulta assolutamente rilevante che il primo Unrat sia stato generato nel 1905 ed il secondo (quello filmico) nel 1929/30. Nella Germania del Secondo Reich guglielmino il primo e, dopo la sua catastrofe e la Grande Guerra, nei preludi di un nuovo devastante Reich, il secondo. Possiamo dire dalla “Caduta di un tiranno” a “L’Angelo Azzurro”, giocando con i titoli delle due opere.
L’Unrat di Sternberg vive di una vita già fuori tempo, nella sua povera e affastellata camera ammobiliata e ha, non a caso, il volto rassicurante dell’attore protagonista, Emil Jannings. E’ a modo suo, portatore di un esigenza etica che non è, però, più del mondo, anche se entra con questo tragicamente in conflitto. E’ semplicemente “impossibile”. Ancor più impossibile quando Unrat cerca, con determinazione assoluta ed incondizionata, la felicità. E’ questo il suo “limite”: ogni scelta di Unrat è radicalmente seria, radicale e condotta fino in fondo, secondo un’onestà ed una coerenza assolute e trasparenti, come piace ancora raccontarci oggi.
Ci sono, già qui, le premesse per farne il clown disperato, come nel necessario epilogo del film, dell’intera cittadina in cui Unrat vive. Epilogo in cui la spirale della caduta del Professor Raath, completamente marginale nel nuovo mondo de “L’angelo azzurro” lo conduce, passivamente, a recitare un numero da clown, appunto,nel locale dove la compagnia di avanspettacolo, cui si era unito seguendo Lola Lola, è tornata e da dove aveva preso anche inizio la nuova parte della sua vita. Di fronte a tutta la cittadinanza, che ben lo conosceva. Mentre Lola Lola (Marlene Dietrich), la donna per cui aveva trasformato radicalmente le sua vita, si apprestava a tradirlo con un vile “bellimbusto” che si era aggregato da poco.
L’irrompere di una stella e l’ “inetto”
Se Unrat pretendeva di essere il protagonista del film, si era, però, sbagliato. Non aveva fatto i conti con la Dietrich, con l’astro nascente, forse la più “favolosa” delle stelle del cinema, che proprio con il film di Sternberg iniziava la sua altrettanto favolosa “storia” nel cinema. Altro aspetto che rende “L’Angelo Azzurro” un film di particolare rilievo, oltre che di grandissimo successo. Donna molto discussa per la sua libertà ed indipendenza, per i suoi amori anche “irregolari” – almeno secondo le morali dell’epoca. Anche i suoi affetti più stretti sono stati occasione o hanno dato il via a polemiche e risentimenti. Emblema, anche suo malgrado, ma non del tutto incolpevole,, di stereotipi femminili – come quello di “femme fatale” e non solo nel mondo dello spettacolo – e, insieme, complessa figura femminile, sfuggente alla copertura degli stereotipi. Nota anche per le sue posizioni, da tedesca, contro il regime nazista, ma direi, esemplare soprattutto per il suo acume e la sua intelligenza. Richiamo, qui, questa volta con l’assenso di Unrat, nonostante la sua invidia, il suo importante ruolo nel fare di due grandi film i capolavori che sono. Ci si riferisce qui, in primo luogo, a „Deutschland im Jahre Null“ ( “Germania Anno Zero”1948), di Rossellini, che secondo Oldtimer, è capolavoro assoluto, e „A Foreign Affair” (“Scandalo Internazionale”) (USA 1948) di Billy Wilder. Del primo lo stesso Oldtimer si è occupato qui in precedenza, sull’altro conta di rifletterci a breve.
Torniamo al nostro Unrat, ignaro di questi successivi eventi. Molto si è detto e scritto su entrambe le opere di cui è il protagonista. Nella seconda, cinematografica, Unrat si muove in un mondo vitale che lo circonda, reso secondo i dettami dell’espressionismo, con vie buie, spesso strette e contorte, contornate di vecchi, addensati edifici in prospettive deformate. Tale è il percorso, con netti chiaroscuri e con ombre, che lo conduce, spinto sì dall’esigenza di cogliere sul fatto e punire i suoi studenti, ma anche da un insinuantesi desiderio, a “L’Angelo Azzurro”, locale di perdizione e di malaffare. Illuminato, però, da una vitalità pulsante, istintiva, a volte violenta ed ambigua. L’Angelo Azzurro catalizza e concentra desideri, pulsioni ma anche ambizioni e doppiezze. La sua umanità è quella ai margini della società, ma attrae e concentra su di sé anche la società integrata, sovente greve e rigida. A partire proprio dallo stesso Unrat. Ad accendere le sue sepolte passioni è una fotografia della cantante Lola Lola (Marlene Dietrich) che Unrat sequestra ai suoi studenti e che diventa per lui una vera e propria ossessione, che, progressivamente, travolge le sue giustificazioni fondate sulla sua deontologia di insegnante e di guardiano del decoro morale. La luce attraente, la sensualità raffinata, ironica ma esplosiva, potente e sicura di sé di Lola Lola (Marlene Dietrich), i toni da commedia, ricchi di ironia ed arguzia caratterizzano sì la parte centrale del film e la scelta radicale di Unrat, disposto a rinunciare a ciò che era – o forse riteneva di essere – prima. Finirà, però, per perdersi, nella luce de “L’Angelo Azzurro”, dove avviene la metamorfosi della vita, nella nuova, abbacinante, insostenibile, tragica felicità cui si accompagna l’impossibilità di trascendere le proprie condizioni sociali e la propria” inettitudine”.
Una particolare declinazione dell’idea di “inetto” identifica l’Unrat cinematografico di Sternberg. La leggerezza e l’ironia, sovente in registro comico, fanno svanire la rabbiosa cupezza del romanzo di Heinrich Mann. Ma sono ingannevoli: vi si radica, con la necessità del destino, la lunga, dolorosa parabola della sua inadattabilità al nuovo ambiente fino al degrado a clown forzato, per contribuire al mantenimento della compagnia. L’epilogo della annichilente sconfitta e della fine di Unrat lo porta ad una morte più solitaria di ogni morte, abbarbicato in modo irremovibile alla cattedra della sua classe, da cui non si riesce a staccarlo. Ritorno funebre ad una ordine sociale, ad una figura sociale ormai già scomparsi, ma vincolanti.
... presto la seconda parte
by OldTimer