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Volevo essere un Pigro!

Riflessioni musicali sotto la doccia

“Dove le parole non arrivano... la musica parla.”
Ludwig van Beethoven

Questa riflessione nasce postuma alla settantacinquesima edizione del Festival di Sanremo 2025, in particolar modo dopo aver riascoltato il brano Volevo essere un duro, cantato e scritto da Lucio Corsi con la collaborazione di Tommaso Ottomano.
L’eterea vocalità del cantautore toscano, il suo stile da saltimbanco, le sue fragilità “consegnate” al mondo senza sovrastrutture, mi hanno subito richiamato alla mente uno spirito musicale per me affine, quello dell’artista abruzzese Ivan Graziani.
Di conseguenza, la domanda che mi sono posta è stata: “Si può considerare Lucio Corsi un seguace di Ivan Graziani, ma non nell’accezione negativa che, solitamente, le case discografiche vogliono attribuire al termine per mere questioni di marketing?”.
Seguace nel senso di continuatore di una letteratura musicale ben precisa, volta a indagare il mondo come altro da sé, se vogliamo recuperando quella spaccatura tra l’artista e l’humana gens denunciata da Baudelaire nella poesia Albatros.

Con mia grande sorpresa (non mi ero mai documentata prima) scopro dalla sua biografia e da un’intervista rilasciata ai giornalisti di Sanremo (“Ivan Graziani non se n’è andato più dal mio cuore”) che Lucio Corsi ha nutrito la sua formazione musicale con i testi di Ivan Graziani, interpretandone anche le canzoni più importanti quali Monna Lisa, Dottor Jeckyll E Mister Hyde, I lupi, Scappo di casa.
Ciò che me li fa accostare è l’incredibile impalpabilità della loro voce, supportata, però, da una chitarra altisonante e da testi che gridano la verità.

Vediamo, in particolare, cosa dice Lucio Corsi nel testo della canzone che gli ha permesso di conquistare il secondo posto nella gara sanremese di quest’anno e che gli consentirà di partecipare all’Eurovision Song Contest 2025 che si terrà a Basilea dal 10 al 17 maggio.

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Volevo essere un duro
Che non gli importa del futuro
Un robot
Un lottatore di sumo

[…]

Però non sono nessuno
Non sono nato con la faccia da duro
Ho anche paura del buio
Se faccio a botte le prendo

[…]

Vivere la vita
È un gioco da ragazzi
Me lo diceva la mamma ed io
Cadevo giù dagli alberi
Quanto è duro il mondo
Per quelli normali
Che hanno poco amore intorno
O troppo sole negli occhiali

[…]

Perchè in fondo è inutile fuggire
Dalle tue paure

[…]

Però non sono nessuno
Non sono altro che Lucio
Non sono altro che Lucio

Dalle prime strofe della canzone emerge, senza dubbio, una difficoltà di fronte allo stare al mondo: l’artista vorrebbe essere impermeabile alle sofferenze, forgiato come un automa, vorrebbe assecondare la filosofia di vita materna e invece finisce per compromettere l’equilibrio se si sporge dagli alberi; risulta perdente in una lotta fra pari e, soprattutto, pensa di non farcela perchè non percepisce l’amore degli altri attorno a sé o non lo vede perchè accecato dalla luce solare.
Con questi presupposti, ci si aspetterebbe un epilogo drammatico e, invece, il cantautore ci stupisce perchè accetta le sue fragilità e la sua identità: quel Non sono altro che Lucio suona come una riappacificazione con se stesso, nel bene e nel male.

Nel lontano 1995 anche Ivan Graziani si è soffermato sul tema della fragilità: queste le strofe, per me più significative, della canzone Fragili fiori

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Dove vai, quando andare non sai
Quando il mondo ti volta le spalle
E per campare ci vogliono quelle?
Vedi la mia mano, la mia mano è sudata, lo so
Maledetta timidezza che ho
E il rossore sul volto che non passa

[…]

Noi, fragili fiori se vuoi
Noi siamo fatti, lo sai
Di carta leggera e stiamo attenti
A non strapparci nel vento della sera

[…]

Sì, ma dove vai
Quando dove andare non sai
Quando il mondo ti volta le spalle
E le speranze non sono più quelle?

Ma chi c’è
Dentro il buio qui accanto a me?
Ci sei tu che mi parli più piano
E come sempre mi tendi la mano
E andiamo lontano, amore

[…]

Ciò che salta immediatamente agli occhi è che entrambi gli artisti citano il “buio”, quasi ad alludere, inizialmente, all’assenza di punti di riferimento nel mondo.
Sicuramente la penna di Ivan Graziani è più cinica e mordace: la spaccatura tra il musicista e il resto della società è più netta; la timididezza, la fragilità, la sensibilità non vengono riconosciute perchè il mondo richiede personalità più forgiate ed egoriferite. Ma in tanta oscurità c’è un tenero epilogo: l’amore, tradotto in una mano che supporta e intraprende un percorso insieme.

Per chiudere ciclicamente la mia riflessione, posso affermare che sì, Lucio Corsi e Ivan Graziani sono figli di una matrice comune: la musica che salva, la musica che eleva e, al tempo stesso, rende ancor più dissonante il confronto col mondo, la musica che conduce a due soluzioni diverse, ma entrambe positive: il riconoscimento e l’accettazione di sé, nonostante tutto e la potenza dell’amore, come sempre e per sempre.

by Chiara Sileo

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