
Questo articolo sintetizza i risultati di una ricerca sul campo condotta tra il 2023 e il 2024.
Laura Sabrina Martucci
Coordinatrice del Master Antiterrorismo dell’Università Aldo Moro di Bari
Erika Monticone
Analista ed Engagement Advisor per L’Hub for South della NATO.
Contesto
Il Sahel (dall’arabo Sahil, “bordo del deserto”) appare come una sorta di cintura di Africa subsahariana, con a nord il deserto del Sahara e a sud la savana del Sudan, per poi gettarsi nell’oceano Atlantico a ovest e nel Mar Rosso a est. Una sorta di linea di passaggio tra il clima arido e impietoso del del Sahara e l’area fertile, ricca di vegetazione e fauna del Sudan. Una terra unica e impietosa. Le popolazioni saheliane hanno dovuto affrontare dolorose e difficili migrazioni (in particolare verso sud) soprattutto a seguito delle tremende carestie del 1972, dovute alla forte siccità: un’emergenza alimentare mai sopita e che continua ad attanagliare milioni di persone. Più recenti invece (primi anni 2000) sono i fenomeni di stampo terroristico che hanno segnato tutti i paesi del Sahel: Mauritania, Mali, Senegal, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Sudan, Burkina Faso, Eritrea, Etiopia, Repubblica Centrafricana. Forte desertificazione pluriennale e forte instabilità politica di stampo terroristico.
Il Ruolo delle donne In Sahel.
In questo territorio così difficile, al contrario di quello che si potrebbe pensare, le donne occupano posizioni centrali, tanto nei circuiti informali legati al terrorismo, quanto nei percorsi di prevenzione e resilienza. Il loro ruolo, spesso trascurato, attraversa ambiti logistici, economici e sociali, contribuendo a rafforzare o indebolire le reti jihadiste. Tra fragilità strutturali e leadership emergenti, si definiscono nuove traiettorie per affrontare la radicalizzazione e promuovere una stabilità duratura.
Come sappiamo, nel contesto geopolitico africano contemporaneo, il Sahel si configura come una delle aree più instabili, epicentro di dinamiche terroristiche che minacciano la sicurezza regionale e internazionale. In questo scenario segnato da conflitti ibridi e transnazionali, il ruolo delle donne risulta fondamentale. Comprendere e contrastare il terrorismo saheliano richiede un’analisi multilivello che integri non solo aspetti di sicurezza, governance, fattori tribali e pressioni geopolitiche, ma anche le dimensioni di genere, variabili cruciali per comprendere la complessità dei fenomeni in atto.
L’Indagine sul Campo.
Intrapresa nel 2022, la ricerca sul Terrorismo nel Sahel si è sviluppata attraverso un’accurata raccolta di dati qualitativi, alla base di un’indagine interdisciplinare a curvatura socio-giuridica. Un lavoro che ha permesso di restituire uno spaccato regionale autentico e sfaccettato. Al centro dello studio, le voci di donne impegnate sul campo: protagoniste locali e figure attive all’interno di organizzazioni internazionali, come il Network dell’African Union FemWise, che hanno contribuito a illuminare dinamiche spesso invisibili ma cruciali.
Non solo vittime, né semplici militanti: nel fragile equilibrio del Sahel, il ruolo delle donne emerge con forza in tutta la sua ambivalenza e si rivela cruciale e strategico. Immerse in una realtà segnata da esclusione, frustrazione e impedimento sistemico alla parità di genere, molte si muovono, tra vulnerabilità e reazione, lungo linee sottili e contraddittorie. Alcune partecipano attivamente ai meccanismi di radicalizzazione e supporto logistico ai gruppi armati, finendo nel vortice della propaganda jihadista, che promette riscatto, appartenenza, identità. Altre, invece, scelgono di opporsi diventando protagoniste nei processi di prevenzione, resilienza e deradicalizzazione. In entrambi i casi, il loro ruolo si rivela strategico per immaginare nuovi equilibri di sicurezza e stabilità nella regione.
Comprendere questi ruoli è dunque essenziale per costruire risposte più efficaci, inclusive e sostenibili al terrorismo, agendo non solo sulla violenza visibile, ma anche sulle cause profonde che alimentano l’estremismo.
Molte donne assurgono a ruoli-chiave nelle catene logistiche del terrorismo, sfruttando la minore esposizione ai controlli e la copertura offerta da ruoli tradizionalmente femminili per facilitare traffici, comunicazioni e spostamenti. Sono attive in un’economia informale che intreccia genere e radicalizzazione, muovendosi spesso al confine tra invisibilità e complicità. In molti contesti, perquisire una donna è considerato inappropriato o persino offensivo, soprattutto in assenza di personale femminile. Questo tabù culturale ha consentito a numerose donne di ottenere una libertà di movimento insospettata, soprattutto nelle aree controllate dai jihadisti o nelle loro immediate vicinanze.
Tra silenzi e passaggi: il ruolo delle donne sul filo dei confini
Là dove le economie locali sono crollate e le strutture sociali disgregate, trasportano materiali per conto di Boko Haram o di altri gruppi armati. Acquistano nei mercati locali oggetti all’apparenza innocui ma facilmente riconvertibili in strumenti di guerra: fertilizzanti ricchi di nitrato d’ammonio, fili elettrici, batterie da 9 volt, vecchi telefoni cellulari, tubi idraulici e persino pentole di metallo. Tutto viene trasportato in piccole quantità, spesso nascosto con ingegno o affidato ai figli, rendendo il contenuto ancora meno sospetto. In molti casi, i trasferimenti avvengono di prima mattina, in orari calcolati con precisione per coincidere con il cambio turno ai checkpoint militari, quando il livello di vigilanza è al minimo. Alcune donne hanno anche recuperato razzi inesplosi da elicotteri militari caduti, rivendendoli a membri dei gruppi armati per somme corrispondenti a 75 euro l’uno. Ogni razzo, secondo stime attendibili, può fornire materiale sufficiente per la costruzione di decine di IED a innesco da vittima. L’impatto sul terreno è devastante: nel solo 2024, si stima che circa il 60% delle perdite subite dalle forze militari regionali nella zona del Lago Ciad sia stato causato proprio da ordigni esplosivi improvvisati. A questi si sommano le numerose vittime civili e le difficoltà operative incontrate dalle agenzie umanitarie. A conferma di quanto rilevato nel nostro lavoro, una ricerca effettuata da ENACT – progetto che analizza il crimine organizzato transnazionale in Africa – ha documentato in modo sistematico il ruolo crescente delle donne in queste reti di supporto logistico, reso possibile da una normativa ancora inadeguata sul commercio e il trasporto di materiali dual-use.
Nelle regioni transfrontaliere del Sahel e nelle zone minerarie di Houndé, Djibo e Yalgo in Burkina Faso, in quelle aurifere del corridoio Gourma-Tillabéri (tra Mali, Burkina e Niger), le economie informali legate al contrabbando e al traffico di risorse preziose rappresentano una componente strategica dei circuiti di finanziamento jihadista. In questi contesti, molte donne risultano coinvolte attivamente nelle catene di valore illegali, che vanno dal commercio dell’oro (orpaillage), alla distribuzione di carburante, fino al traffico di droghe leggere, medicinali contraffatti e prodotti afrodisiaci. Secondo un rapporto del Global Initiative Against Transnational Organized Crime, già nel 2023 oltre il 40% della manodopera femminile era impiegato in attività collaterali all’estrazione quali la cernita manuale, il trasporto e la vendita. Mentre lungo le rotte del carburante, contrabbandato tra la Nigeria settentrionale e il Niger, così come nei mercati informali di Zinder, Maradi, Gao, Mopti, Agadez e Dosso, le donne occupano, spesso, le posizioni terminali della filiera e operano come venditrici ambulanti, mediatrici e informatrici. Nel settore degli stupefacenti e dei prodotti farmaceutici contraffatti, soprattutto nella regione di Kidal (Mali), Tahoua (Niger) e nei quartieri di Maiduguri (Nigeria), le donne agiscono come micro-trafficanti, punti di smistamento, oppure intermediatrici locali.
In queste reti, i gruppi jihadisti non si impongono necessariamente con la forza, piuttosto, si inseriscono in modo graduale e relazionale, stringendo alleanze e fornendo protezione, ottenendo in cambio informazioni logistiche, copertura sociale o rifornimenti. Il ruolo delle donne in questa forma di interazione tra criminalità organizzata e terrorismo è attivo e partecipativo e contribuisce alla capacitazione della minaccia terroristica regionale.
Non si tratta di una militarizzazione diretta, ma di una penetrazione sociale e funzionale in un contesto di microeconomie di sopravvivenza e descolarizzazione in cui le donne non sono necessariamente ideologicamente radicalizzate, ma agiscono per la causa radicale-eversiva; “non imbracciano fucili”, ma sono comunque artefici di legami di fiducia, ai margini dello Stato, lontano dai campi d’addestramento, in un mercato informale che favorisce il radicamento del jihadismo.
Accanto al coinvolgimento nei circuiti illegali, le donne sono sempre più riconosciute anche come attrici chiave nei processi di prevenzione e de-radicalizzazione. Iniziative promosse da organismi internazionali e regionali hanno dimostrato come il loro ruolo possa diventare decisivo nella costruzione di resilienza comunitaria.
Il ruolo dell’UNICRI.
Nel Sahel, l’UNICRI sta portando avanti programmi gender-sensitive per rafforzare il ruolo delle donne nella prevenzione dell’estremismo violento. Altre organizzazioni, come il Georgetown Institute for Women, Peace and Security, evidenziano come le donne, anche quando ex radicalizzate, possano assumere un ruolo positivo nella deradicalizzazione e riabilitazione attraverso programmi di sostegno familiare, counseling, advocacy e leadership comunitaria attraverso ruoli differenti: educatrici, mediatrici, figure di riferimento per reti sociali. Donne come Halima Yakoy Adam – ex attentatrice al mercato a Bol, in Ciad ora assistente legale – o Hamsatu Allamin – nota negoziatrice e pacificatrice tra militanti e forze di sicurezza in Nigeria – dimostrano come l’esperienza della violenza possa trasformarsi in attivismo e impegno civico, diventando una risorsa preziosa per le loro comunità.
Il ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti.
Per contrastare il coinvolgimento delle donne nelle economie illegali e rafforzarne il contributo ai processi di pace, vanno promosse politiche strutturali e sistemiche orientate allo sviluppo locale – in particolare nei settori dell’educazione, dell’imprenditoria femminile e delle economie rurali – a sostenere un impegno concreto di effettiva partecipazione delle donne, su base di uguaglianza, in tutte le sfere della società.
Promuovendo diritti, libertà fondamentali e inclusione si possono costruire percorsi sostenibili di emancipazione e stabilità e una più sapienziale e oggettiva percezione del loro ruolo nelle singole realtà sociali. In tal senso si muovono reti femminili già esistenti, che operano sul terreno con discrezione, ma anche con profonda conoscenza dei contesti locali, come le organizzazioni consultate nella ricerca. Si tratta di piattaforme e network che riuniscono facilitatrici del dialogo, promotrici sociali e punti di riferimento della collettività di tutto il continente. Sono impegnate su più fronti, oltre che nell’attuazione dell’Agenda ONU Women Pace and Security (WPS) o nelle azioni più sensibili e di frontiera della promozione della pace attraverso il dialogo interreligioso e il “perdono”, mosse dal programma dell’Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite (UNAOC). Grazie alla loro presenza capillare nei territori e al legame di fiducia con la società civile, le organizzazioni di base e le istituzioni, queste donne stanno emergendo come interlocutrici cruciali. Il loro ruolo è sempre più centrale non solo per comprendere in profondità le dinamiche del terrorismo, ma anche per contribuire alla costruzione di soluzioni condivise. Dalla revisione delle politiche di controllo, al rafforzamento della presenza femminile nelle forze di sicurezza, il loro coinvolgimento apre nuove strade per un approccio più efficace e inclusivo alla sicurezza.
Riconoscere la leadership delle donne africane come agenti del cambiamento e promuovere un dialogo paritario con le loro omologhe europee – alla base della nostra ricerca – significa costruire alleanze fondate sul rispetto identitario e sulla reciprocità. Queste reti rappresentano una risorsa concreta e promettente per il contrasto a terrorismo e criminalità: offrono strumenti operativi e relazionali in grado di produrre cambiamenti reali sostenibili nel tempo, più attenti alla complessità delle dimensioni sociali, all’attuazione dei diritti umani fondamentali.
by Laura Sabrina Martucci ed Erika Monticone
Il tema della ricerca che pubblicheremo prossimamente in un volume collettaneo è Geopolitica di genere: donne tra estremismo e deradicalizzazione in Nord Africa e Sahel. Impatto e implicazioni per la sicurezza. tra gli autori Naela Gabr, Hasna Ben Sliman, Suzan Aref, Meriem Ellefi, Halima Ounada, Vittorio Antonio Stella, Daniele De Filippo



