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il DNA antico riscrive la storia dell’umanità

Per secoli, le società umane hanno speso non poche energie coltivando a gran voce miti sulla “purezza” del sangue, sulle origini più o meno gloriose, ma sempre immacolate, di popoli e civiltà, e sull’idea che la storia fosse una potente ed inopinabile linea retta che unisce nobili antenati e discendenti legittimati. Le scoperte della genetica moderna, però, stanno demolendo questa visione…e lo fanno con la forza silenziosa dei dati.

Il genetista David Reich, professore di genetica alla Harvard Medical School e di biologia evolutiva umana presso la Facoltà di Arti e Scienze di Harvard, è tra coloro che hanno contribuito a riscrivere completamente la narrazione sull’evoluzione umana.

“Il DNA antico (aDNA) è in grado di scrutare il passato e di comprendere come le persone siano imparentate tra loro e con quelle che vivono oggi”, ha spiegato Reich durante una conferenza al Radcliffe Institute for Advanced Study. “E ciò che mostra sono mondi che non avevamo mai immaginato prima. È davvero sorprendente.”

Il suo lavoro, e quello di molti altri ricercatori nel campo della paleogenetica, dimostra che la storia umana è una storia di migrazioni, incontri e mescolanze, e non certo di linee di sangue immutabili.

“Oggi siamo molto simili tra noi. Anche le persone più diverse sono separate al massimo da 200.000 anni, con un flusso genico minimo”, ha sottolineato Reich. “Ma 70.000 anni fa, c’erano almeno cinque gruppi molto più diversi tra loro di qualsiasi gruppo vivente oggi.”

Una lunga quadriglia di popoli

L’umanità, sin dalla sua comparsa in Africa, non ha mai smesso di muoversi. Intere popolazioni si sono spostate, fuse, estinte, lasciando nel nostro genoma inequivocabili tracce di incontri e sostituzioni. In Africa, ad esempio, le analisi genetiche mostrano che diversi gruppi tribali e linguistici si sono alternati nel tempo. Il Camerun, oggi associato alle lingue bantu, era occupato invece da un popolo completamente diverso tra 3.000 e 8.000 anni fa.

Reich ricorda che “…i dettagli del quadro sono complessi, ma il tema generale è quello di una crescente omogeneizzazione dovuta al declino della diversità umana”. In altre parole, più le persone si spostavano, più i loro geni s’intrecciavano, riducendo le differenze tra i gruppi.

Questi risultati ci ricordano che nessun popolo è mai rimasto isolato, e che ciò che oggi chiamiamo identità è il frutto di un continuo mescolarsi di patrimoni biologici e culturali.

L’incontro con i Neanderthal e i Denisoviani

Un punto di svolta nella storia della genetica moderna avvenne nel 2007, quando Svante Pääbo (che anni dopo avrebbe vinto il Premio Nobel per la Medicina) riuscì a estrarre il DNA da ossa di Neanderthal. All’epoca Reich era professore associato a Harvard e capì subito che quei dati erano “i più importanti al mondo per comprendere chi siamo e da dove veniamo”.

Quando Pääbo organizzò una collaborazione internazionale per analizzare i risultati, Reich aderì con entusiasmo.

“È semplicemente incredibile, emozionante […]. È davvero speciale”, ha detto Reich. “E credo che questo sia stato percepito da tutte le persone coinvolte nelle nostre collaborazioni internazionali.”

L’analisi del genoma dei Neanderthal portò a una scoperta clamorosa: gli esseri umani moderni si erano mescolati con i Neanderthal. Fino a quel momento, gli scienziati credevano che le due specie si fossero evolute separatamente. Lo stesso Reich ammette di essere stato incredulo quando i dati emersero.

“Il team pensava che il risultato fosse sbagliato”, spiega, “ma alla fine dovemmo accettarlo.”

Oggi sappiamo che la maggior parte degli europei moderni possiede circa il 2% di ascendenza neanderthaliana.

Successivamente, gli studi rivelarono un’altra sorprendente interazione: quella con i Denisoviani, una popolazione arcaica scoperta in una grotta della Siberia. Le loro tracce genetiche sono oggi più evidenti nelle popolazioni dell’Asia orientale e delle isole del Pacifico.

“È chiaro che gli esseri umani moderni e arcaici si sono mescolati ovunque si siano incontrati”, ha detto Reich. “Non è raro che le persone si mescolino con persone molto diverse da loro. È anzi la regola.”

Migrazioni, riproduzione, agricoltura e lingue…il poker dell’evoluzione

Ma le migrazioni non si fermarono con la fine della preistoria. Con l’arrivo dell’agricoltura, circa 8.000 anni fa, gruppi di agricoltori del Medio Oriente si spostarono in Europa (già terra di cacciatori-raccoglitori), portando con sé non solo nuove tecniche, ma anche un nuovo patrimonio genetico. Poi, circa 5.000 anni fa, giunsero i pastori Yamnaya, provenienti dalle steppe eurasiatiche: un popolo di nomadi che avrebbe lasciato un’impronta genetica enorme (fino al 90% in alcune aree del nord Europa) e probabilmente introdotto le lingue indoeuropee.

In alcune regioni, il loro arrivo fu addirittura “traumatico”. Nella penisola iberica, ad esempio, l’impatto genetico degli Yamnaya è stimato solo attorno al 40%, ma con una conseguenza drammatica: il cromosoma Y degli agricoltori che li hanno preceduti scomparve completamente.

Reich osserva che “può non essere stata un’occasione felice per gli uomini coinvolti […] la popolazione maschile locale non è riuscita a trasmettere i suoi cromosomi Y alla popolazione successiva”.

Poi aggiunge una riflessione amara e attuale: “Come ciò sia accaduto non lo sappiamo, ma diverse migliaia di anni dopo, i discendenti di questi iberici giunsero nelle Americhe e accadde esattamente questo. Gli abitanti della Colombia non hanno quasi nessun cromosoma Y locale. Sono quasi tutti europei. E non hanno quasi nessun DNA mitocondriale europeo (ereditato dalla madre). Sono quasi tutti nativi americani. E questo è il risultato dello sfruttamento e della disuguaglianza sociale. E forse è quello che è successo qui.”

Un’illusione chiamata Identità.

“Il grande cambiamento di prospettiva rispetto allo studio del DNA antico è che le persone che vivono oggi non sono quasi mai i discendenti delle persone che vivevano nello stesso posto migliaia di anni prima”, afferma Reich.

Questo ribalta il modo in cui interpretiamo la storia e ci costringe a riconoscere che la nostra identità biologica e culturale ha ben poco di glorioso o addirittura divino, bensì, è il risultato di infinite sovrapposizioni, spesso, strettamente correlate a fattori climatici e ambientali. Persino popoli antichi, come i Cartaginesi, tradizionalmente associati ai Fenici, si rivelano geneticamente più vicini ai Greci, con i quali erano in competizione.

Ma la selezione naturale continua

Altro importante tassello proveniente dal DNA antico è l’impatto della “selezione naturale evolutiva” sulle popolazioni umane. Reich ricorda che, fino a pochi anni fa, si pensava che negli ultimi 10.000 anni la selezione naturale fosse stata minima. Tuttavia, il suo primo studio del 2015 identificò una dozzina di punti nel genoma umano cambiati negli ultimi 8.000 anni. Ma, più recentemente, grazie a nuovi e più accurati metodi statistici, lui e il suo team hanno rilevato quasi 500 variazioni genetiche significative.

Secondo Reich, da circa 5.000 anni l’Europa sta attraversando un periodo di “selezione accelerata”, soprattutto legata a tratti immunitari e metabolici. Alcuni geni (nel loro andamento altalenante), che forse un tempo conferivano vantaggi al momento sconosciuti, oggi possono rappresentare un rischio (come quelli associati alla celiachia o alla tubercolosi). Ma questo ci fa capire semplicemente come la nostra specie continui ad adattarsi, anche se non sempre nel modo in cui immaginiamo e nella tempistica che vorremmo.

Una lezione di umiltà

“I racconti delle persone sulla propria storia sono quasi sempre sbagliati. […] Non credo che sia una cosa negativa. Penso che sia una cosa positiva e che sia umiliante esserne consapevoli.”

Le parole di Reich suonano come una lezione per la società contemporanea: spesso ancora legata a visioni identitarie e divisive.

Forse, quando parliamo di Storia del Genere Umano, l’unica risposta degna di considerazione, ci viene proprio dalla genetica moderna. Una risposta rivelata nella semplice onestà dei suoi dati scientifici, privi di ogni pregiudizio di sorta e traducibile in sole tre parole: incontri, contaminazioni e mescolanze.

Una risposta che pare ricordarci ciò che spesso (troppo spesso) tendiamo a dimenticare:

non esistono radici pure, ma solo radici intrecciate.

Felice Notte Venerabili…

by O. D. B.

Fonti:

Claims of pure bloodlines? Ancestral homelands? DNA science says no.

https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC3464203

https://reich.hms.harvard.edu/research

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