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ESTRARRE l’ACQUA dall’ARIA… Vibrando

L’IDEA DEL MIT PER ESTRARRE L’ACQUA DALL’ARIA…vibrando

In un mondo dove si parla sempre più spesso di risorse che si esauriscono, c’è una domanda che sembra uscita da un racconto di fantascienza e che, da alcuni anni, ha ispirato non pochi scienziati:

“…e se potessimo bere l’aria?”

Regioni desertiche, aria secca e un dispositivo capace di trasformare l’umidità in acqua potabile.

È vero, l’idea non è nuova: grazie alla ricerca e allo sviluppo di nuovi materiali spugnosi, molte tecnologie di raccolta dell’acqua atmosferica (AWH) esistono già. Ma non sono mai mancati nemmeno i problemi: l’acqua, una volta intrappolata nei materiali sorbenti, necessita di calore e tempo per liberarla (evaporazione): ore, talvolta giorni.

Poi è arrivato il MIT, con una soluzione tanto semplice quanto ingegnosa: perché aspettare che il sole scaldi i materiali… quando si può scuoterli?

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Ultrasuoni al posto del Sole.

La ricerca, guidata da Svetlana Boriskina, ricercatrice principale presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica del MIT, introduce un cambio di paradigma: utilizzare onde ultrasoniche per liberare l’acqua dai materiali che la raccolgono. Un processo che non richiede ore, bensì, pochi minuti.

Come spiega Boriskina: “Si è cercato un modo per raccogliere l’acqua dall’atmosfera, che potrebbe rivelarsi una grande fonte idrica, soprattutto per le regioni desertiche e i luoghi dove non c’è nemmeno acqua salata da desalinizzare. Ora abbiamo un modo per recuperare l’acqua in modo rapido ed efficiente”.

Il nuovo sistema è descritto in uno studio pubblicato su Nature Communications il 18 novembre scorso: primo autore Ikra Iftekhar Shuvo, studente laureato in Arti e Scienze dei Media al MIT, affiancato da Carlos Díaz-Marín, Marvin Christen, Michael Lherbette e Christopher Liem.

La Scintilla dell’Idea.

Per anni, anche il gruppo di Boriskina si era concentrato sull’idea “classica” dell’AWH: materiali spugnosi che assorbono l’umidità durante la notte, seguito da un lento processo di riscaldamento (con un consumo energetico proibitivo e solo idealmente grazie al sole) per evaporare l’acqua raccolta, quindi, non discostandosi anche loro dai due forti limiti che caratterizzano questa tecnologia: eccessivo consumo energetico e lunghi tempi di fattibilità.

“Qualsiasi materiale che abbia una grande capacità di catturare l’acqua non vuole separarsene” spiega Boriskina, “Quindi è necessario investire molta energia e ore preziose per estrarre l’acqua dal materiale”.

Ma Shuvo aveva quella conoscenza “differente” che è sempre mancata a tutti quei suoi colleghi che studiavano l’AWH: esperienza con gli ultrasuoni applicati ai dispositivi medici indossabili. Così, quando lui e Boriskina hanno iniziato a scambiarsi idee, è scattato qualcosa: la ricercatrice ha capito che il “nuovo arrivato” poteva finalmente risolvere davvero il problema “tempo”.

 Ricorda Boriskina: “…avevamo questo grosso problema che stavamo cercando di risolvere e ora Ikra sembrava avere uno strumento che poteva essere utilizzato per risolvere questo problema”.

Gli ultrasuoni (onde di pressione a frequenze superiori ai 20 kHz) sono invisibili e inudibili per l’uomo, ma sufficientemente potenti da disturbare i legami che tengono l’acqua attaccata ai materiali.

“Con gli ultrasuoni, possiamo rompere con precisione i legami deboli tra le molecole d’acqua e i siti in cui si trovano.” Spiega Shuvo, “È come se l’acqua danzasse con le onde, e questa perturbazione mirata crea una spinta che rilascia le molecole d’acqua, che possiamo vedere fluttuare in goccioline”.

Il Dispositivo che fa “Ballare” l’Acqua.

Il cuore di questa innovativa tecnologia è un attuatore a ultrasuoni: un anello ceramico piatto che vibra quando viene applicata una tensione, circondato da un bordo dotato di minuscoli ugelli. L’acqua, liberata dalle vibrazioni, passa attraverso gli ugelli e viene raccolta in piccoli contenitori.

Il team ha testato il dispositivo con materiali sorbenti già sviluppati in laboratorio. In una camera controllata a vari livelli di umidità, i campioni venivano saturati e poi posizionati sul dispositivo vibrante.

Risultato: ogni campione veniva completamente asciugato in pochi minuti.

I ricercatori hanno calcolato che il metodo è 45 volte più efficiente rispetto al tradizionale riscaldamento solare.

Da qui l’idea di un possibile utilizzo domestico: ad esempio pannelli “a finestra” che assorbono umidità e, una volta saturi, si scuotono autonomamente (alimentati da una piccola cella solare) per liberare l’acqua raccolta.

“Tutto dipende da quanta acqua si riesce a estrarre al giorno. Con gli ultrasuoni, possiamo recuperare l’acqua rapidamente e ripetere il ciclo più e più volte. Questo può arrivare a significare molto al giorno”, afferma Boriskina.

Un Problema Tecnico e Umanitario.

L’altro aspetto dello studio, invece, entra nel vivo delle problematiche globali. La tecnologia AWH è pensata per comunità dove l’acqua dolce è scarsa, lo sviluppo “frenato” e le infrastrutture costose non sono realizzabili.

La pubblicazione di Boriskina ricorda alcuni casi emblematici:

–          Il Messico, dove oltre metà del territorio è arido o semiarido, compresi i deserti di Chihuahua e Sonora;

–          la crisi del fiume Colorado, che si sta prosciugando ad un ritmo allarmante;

–          la desertificazione accelerata nell’Ucraina meridionale, dopo la distruzione della diga di Kakhovka da parte dell’esercito russo;

–          le vaste regioni del Medio Oriente, dipendenti per l’approvvigionamento di acqua dolce da tre soli grandi fiumi.

In tutte queste aree, installare sistemi complessi di desalinizzazione o purificazione è impraticabile.

Gli AWH potrebbero essere una risposta, ma finora sono rimasti limitati da un ostacolo energetico: il costo del calore necessario per il desorbimento dell’acqua.

Molti materiali richiedono oltre 60, 80 anche 160 °C per rilasciare l’umidità assorbita, rendendo il processo insostenibile su larga scala: è qui che la vibrazione ultrasonica cambia tutto.

Sotto il Limite Termodinamico.

Il paper scientifico afferma chiaramente: “…dimostriamo che l’azionamento meccanico vibrazionale può essere utilizzato al posto del calore per estrarre acqua dai materiali che raccolgono l’umidità, offrendo un aumento di circa quarantacinque volte dell’efficienza energetica di estrazione. Riportiamo il consumo energetico per l’estrazione dell’acqua al di sotto dell’entalpia di evaporazione dell’acqua…”.

Per la prima volta, una tecnologia di estrazione dell’acqua da sorbenti funziona oltre quel limite termicoche vincolava tutte le soluzioni precedenti. Il metodo, inoltre, è generale: funziona con idrogel, MOF (Metal-Organic Framework), fibre assorbenti, tessuti, sali e disidratanti.

“La bellezza di questo dispositivo è che è completamente complementare e può essere aggiunto a quasi tutti i materiali assorbenti”, sottolinea Boriskina.

Una Svolta che Apre Prospettive Inattese e…Vibranti Speranze.

Al MIT non si parla certo di una soluzione miracolosa, ma di un passo fondamentale sicuramente.

Una tecnologia modulare, potenzialmente economica, capace di lavorare in condizioni aride, decentralizzabile e in grado di essere alimentata da piccole celle solari.

L’allettante prospettiva di sistemi molteplici, diffusi, semplici, in grado di portare a termine decine di cicli giornalieri. Non un unico impianto gigantesco, invasivo, complesso, ma migliaia di piccoli nodi che “bevono” l’umidità nell’aria.

È vero. Non risolverà tutte le crisi idriche del pianeta, ma potrebbe ridisegnare radicalmente, e in modo capillare, l’accesso all’acqua nelle regioni che più ne hanno bisogno.

“Una goccia d’acqua che si libera da una presa possente, danzando al ritmo di ultrasuoni inavvertibili.”

E se davvero riuscissimo a far bere il mondo… facendolo vibrare?

Felice Notte Venerabili.

by O. D. B.

Fonti:

https://news.mit.edu/2025/ultrasonic-device-dramatically-speeds-harvesting-water-air-1118

https://news.mit.edu/2025/ultrasonic-device-dramatically-speeds-harvesting-water-air-1118

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