Gemelli? Boh, Forse
Si dice che ognuno di noi ha una doppia anima...
by D&D
…Quello che state per leggere non è il prodotto di ricerche accademiche, ma divagazioni di un passante per caso intorno alla tecnologia.
Hai mai provato a risolvere un problema con il servizio clienti e, anziché parlare con una persona, ti sei trovato faccia a faccia (o meglio, schermo a schermo) con una chatbot? “Ciao! Sono qui per aiutarti. Come posso esserti utile oggi?” Suona bene, vero? Peccato che, dieci minuti dopo, tu sia lì a gridare davanti al telefono: “Parla con un operatore umano!” e il bot, imperturbabile, continui a proporti soluzioni che non c’entrano nulla.
Benvenuti nel fascino delle chatbot, quelle simpatiche intelligenze artificiali programmate per aiutarci, ma che spesso ci regalano momenti di pura frustrazione. Sono ormai ovunque: nei siti di e-commerce, nelle app di servizio clienti, perfino nelle nostre app di messaggistica. A volte sono utili, altre sembrano lì solo per testare i nostri limiti di pazienza.
La prima cosa che colpisce di una chatbot è la sua apparente disponibilità. Non importa l’ora del giorno o della notte, è sempre lì, pronta ad accoglierti con un “Buongiorno!” anche se sono le 3 del mattino. La gentilezza non manca mai: è come parlare con qualcuno che non si stanca mai di ascoltarti (o meglio, di leggere i tuoi input). E ammettiamolo, c’è una strana soddisfazione nel sapere che non dovrai mai aspettare in linea o ripetere più volte il tuo problema. Fin qui, tutto bene.
Ma poi arriva il momento critico: spieghi il tuo problema e il chatbot ti risponde con una soluzione che sembra uscita da un’altra dimensione. “Ho perso il mio pacco,” digiti, sperando in un aiuto rapido. E la risposta? “Capisco! Ti interessa vedere la nostra nuova collezione di felpe?”. In quel momento ti rendi conto che stai avendo una conversazione con qualcosa che, per quanto sembri umano, non lo è affatto. Ed è qui che nasce la frustrazione.
Perché, diciamocelo, le chatbot possono essere un po’… distratte. Il loro vocabolario è limitato e spesso interpretano le tue richieste in modi davvero creativi. Ogni tanto riescono persino a fare domande che ti portano a dubitare della tua stessa sanità mentale. “Stai cercando di annullare l’ordine o di restituire l’articolo?”, ti chiedono, dopo che hai spiegato chiaramente di voler solo sapere perché il pacco è finito in un altro continente. E in quel momento ti chiedi: ma siamo sicuri che siano pronte per sostituire gli umani?
Eppure, nonostante i momenti di frustrazione, le chatbot hanno il loro fascino. Ci danno la sensazione di essere al passo con il futuro, di poter interagire con l’intelligenza artificiale in modo diretto e, talvolta, persino piacevole. Ci sono chatbot così avanzate che, per qualche secondo, riescono quasi a farti dimenticare che stai parlando con un algoritmo. Alcune rispondono con un tono così naturale da farti venire il dubbio: “E se fosse davvero una persona che si finge un bot?”
Inoltre, ammettiamolo: c’è qualcosa di divertente nel cercare di far dire cose strane o assurde a una chatbot. Chi non ha mai provato a chiedere “Mi ami?” a un assistente virtuale solo per vedere come reagisce? O a porre domande completamente fuori contesto, tipo “Qual è il senso della vita?”, sperando in una risposta esistenziale che non arriverà mai.
Ma, come in ogni relazione, c’è sempre un margine di miglioramento. Le chatbot sono ancora lontane dal poter sostituire l’interazione umana vera e propria, e ci vorrà del tempo prima che possano davvero capire ciò di cui abbiamo bisogno senza inviarci link che non abbiamo mai chiesto. Tuttavia, il loro potenziale è innegabile. Se da un lato oggi ci fanno sorridere (o disperare), dall’altro sono un segno di quanto la tecnologia stia evolvendo per facilitare le nostre vite, o almeno ci sta provando… con qualche “scivolone”.
In conclusione, le chatbot rappresentano perfettamente il nostro rapporto con la tecnologia: un misto di curiosità, meraviglia e una buona dose di frustrazione. Non sono perfette, ma nemmeno noi lo siamo. Forse il segreto è accettare questa imperfezione, fare pace con la consapevolezza che, almeno per ora, anche la tecnologia ha i suoi limiti. E chissà, forse un giorno riusciremo davvero a fare una conversazione sensata con una chatbot. Nel frattempo, cerchiamo di non farci prendere troppo dall’ira quando, alla decima richiesta, continuano a proporci felpe anziché risolvere il nostro problema.