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Demografia e nuovo ordine mondiale

Mario Caligiuri - lezioni di intelligence
Mario Caligiuri – lezioni di intelligence
Ospite di Mario Caligiuri è 
Lucio Caracciolo, redattore di Nuova Generazione dal 1973 al 1975, cronista politico e poi capo della redazione politica a La Repubblica dal 1976 al 1983, caporedattore di MicroMega dal 1986 al 1995, scrive anche di politica estera per L’Espresso e ha pubblicato anche diversi saggi. Dirige la rivista geopolitica Limes (da lui fondata nel 1993) e la Eurasian Review of Geopolitics Heartland ed è membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA.
Lucio Caracciolo italo red italo

Caracciolo, partendo dall’analisi di “transizione egemonica” (ossia il passaggio da una fase in cui una potenza detta la geopolitica mondiale ad una nuova fase di diversa egemonia), ci fornisce un quadro esaustivo del possibile futuro dell’ordine mondiale.

Un ordine che nasce dalle “viscere” delle strutture governative, una dimensione strutturata per produrre cambiamenti, spesso (e volutamente) quasi inosservati dai più, nella quotidianità sociale, politica ed economica: una dimensione chiamata Deep State.

Partendo dagli Stati Uniti, secondo il giornalista, le radici profonde che hanno messo in crisi l’egemonia americana sono oggettivamente chiare: basta analizzare le statistiche dell’ONU sull’andamento demografico (e della biologia) della popolazione mondiale entro la fine del secolo. Risulta evidente, infatti, che nuove potenze mondiali, come la Cina (metà dell’umanità risiede in Asia, circa 4 miliardi e 800 milioni su quasi 8 miliardi e 200 milioni), seguita dall’Africa (il continente africano è il più giovane, con un’età media di 18 anni, rispetto ai 42 degli europei) si stiano distinguendo con una crescita costante, se non inesorabile.

Se da una parte i dati demografici appena citati emergono in modo eclatante, dall’altra destano non poca preoccupazione tre, tra le principali, attuali, aree di tensione geopolitica: la prima, di dimensioni più contenute, rappresentata dal conflitto in Ucraina, definita anche “guerra russo-americana” e la seconda riguarda la sfida strategica sino-americana, che si sta svolgendo nel teatro asiatico, nella regione indo-pacifica e la recente escalation della storica crisi in Medio Oriente.

Se alla fine della Seconda guerra mondiale gli USA compresero che il dominio dei mari è sinonimo di controllo dell’economia mondiale, è indubbio che la Cina stia ponendo solide fondamenta per un futuro monopolio delle rotte commerciali. Strategia maturata nel tempo attraverso la paziente strutturazione della “nuova via della seta”, che integra rotte marittime e terresti, passando per l’Oceano Artico ed escludendo, di fatto, il continente europeo. È in questo contesto che si colloca la crisi dello stretto di Bab el-Mandeb, ubicato all’incrocio tra la penisola arabica (Corno d’Africa) e la parte meridionale del Mar Rosso.

A tal proposito, l’Italia, non avendo uno sbocco oceanico diretto, deve poter contare sulla libertà di navigazione attraverso gli stretti e, in particolare, attraverso il “sistema Gibilterra, Suez e Bab el-Mandeb” che connette l’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano e quindi al Pacifico.

Caracciolo sottolinea anche che oggi la sfida principale per establishment statunitense è rappresentata dalla competizione, sempre più “complessa”, con una Cina estremamente determinata, non solo nell’annessione dell’isola di Taiwan, ma anche nelle sue storiche mire espansionistiche verso nord e occidente (Mongolia interna, Xinjiang, Hong Kong e Tibet).

Riguardo il conflitto ucraino, Lucio Caracciolo sottolinea le criticità che, potenzialmente, si verificheranno indipendentemente dagli esiti della guerra.

Anche in un’ipotetica vittoria dell’Ucraina, Zelensky dovrebbe, comunque, fare i conti con tutte le pesanti conseguenze causate dal lungo conflitto: in primis il tragico e drastico calo demografico, le forti ripercussioni politiche (sia interne ma, altrettanto importanti, anche estere, vista la sua forte dipendenza, in questo conflitto, dagli aiuti di Europa e, in particolare, Stati Uniti), economiche e territoriali (ricordiamo che questa guerra è “estremamente asimmetrica”, visto che si svolge unicamente nel teatro ucraino).

Specularmente, nello stesso contesto, in Russia sarebbero invece determinanti le future geografie che andrebbero a delinearsi. Sono infatti già state previste alcune frammentazioni territoriali ipotizzate anche dalle minoranze etniche presenti in terra sovietica.

In riferimento, invece, al Medio Oriente dopo l’invasione di Hamas del 7 ottobre, secondo Caracciolo, quello che emerge in campo palestinese, oltre alla sua ulteriore frammentazione, la già “agonizzante” ANP (Autorità Nazionale Palestinese) si rivela ancor più screditata e priva di peso in un eventuale negoziato. Proprio in previsione di un concreto tavolo delle trattative, le speranze di risanare la storica frattura tra la fazione islamista (HAMAS) e quella nazionalista (FATAH) sta nella “rinascita” dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l’unico organismo (in teoria…) che potrebbe rappresentare il popolo palestinese in ambito internazionale, riunendo in un’unica voce tutti i “frammenti” politici e religiosi palestinesi.

Parlando, invece, della controparte, è difficile non fare parallelismi storici. In conseguenza alla controffensiva sproporzionata sulla striscia di Gaza, anche agli occhi di quell’informazione da sempre filogovernativa e dell’opinione pubblica più distratta, Israele, da vittima, si è palesata in violento carnefice. Lo storico sostegno degli Stati Uniti ha perlomeno “scricchiolato” da quando, pubblicamente, la Casa Bianca ha esternato forti perplessità sul proseguo delle azioni militari israeliane e, addirittura, la Corte penale internazionale dell’Aja ha messo sotto accusa Israele per genocidio.

Israele tradisce così la sua ragion d’essere: se lo Stato di Israele è nato per offrire al popolo ebraico un posto sicuro dalla violenza dell’antisemitismo, è altrettanto vero che Netanyahu, con una controffensiva scellerata, si è fatto artefice di quella stessa violenza nei confronti del popolo palestinese.

Questo scontro, oltre alla sua tragicità, evidenzia, al momento, l’impossibilità di una soluzione concreta, sia nella ipotetica realizzazione di uno stato palestinese accanto a quello israeliano, sia nell’integrazione in un unico stato. Integrazione che avrebbe una possibilità solo in presenza di una forte maggioranza e una forte minoranza (qui invece parliamo, grosso modo, di 7 milioni di ebrei e 7 milioni di arabi palestinesi): ma anche se Israele riuscisse a espellere in qualche modo i 2 milioni da Gaza, è certo che verrebbe fuori l’ipocrisia del mondo arabo che, al di là della propaganda, non sarebbe certo disposto (in particolare Egitto e Giordania) ad accogliere un esodo di tali proporzioni.

In conclusione, questo conflitto, purtroppo, non solo non è destinato a risolversi in tempi brevi, ma addirittura si sta allargando ulteriormente, coinvolgendo l’economia globale. Infatti, anche gli Houthi, che controllano lo Yemen, attaccano senza tregua, con atti di pirateria, imbarcazioni e in particolare mercantili che attraversano il Mar Rosso da e verso il Mediterraneo, mettendo così in forte crisi i traffici tra Europa e Asia.

Alla luce di questo quadro, necessariamente conciso e, purtroppo, certamente poco edificante, può essere d’aiuto la descrizione di quella parte della “gestione del potere” sicuramente meno evidente ma, come accennato inizialmente, certamente generatrice di cambiamenti globali: lo Stato Profondo (Deep State).

Vi lasciamo allora con lo stralcio di una lezione tenuta da Caracciolo a Cosenza, presso l’UNICAL al Master di Intelligence:

Gli Stati Profondi presentano una dimensione visibile, costituita dalla burocrazia e dalle istituzioni, e un’altra invisibile, identificata con l’intelligence e gli apparati della difesa. Ogni Deep State ha caratteristiche proprie, per esempio in Cina lo Stato, lo Stato Profondo e il Partito Comunista sono la stessa cosa, così come lo Stato profondo israeliano protegge gli ebrei di tutto il mondo oppure i Servizi britannici hanno una credibilità superiore che deriva dal proprio retroterra imperiale […] Ci sono fattori comuni, rappresentati dalla garanzia della continuità dell’amministrazione (patrimonio di competenze quasi sempre superiori a quello di chi si avvicenda nel ruolo politico), dal carattere sacrale (sacerdoti delle liturgie dello Stato), dalla malattia professionale (prigionieri della corporazione con il rischio di non aggiornare le competenze, applicando ricette vecchie a problemi nuovi), dall’arroganza (tentazione di condizionare o sostituire il potere politico, vedi in Italia i vari governi dei tecnici), dall’intelligence (imprescindibile presenza dello stato profondo, identificando il fondo del fondo)… .”

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