VANITA’ “Vanità, decisamente il mio peccato preferito”. Da “L’avvocato del Diavolo”, 1997.
Come sei bella! Come sei intelligente! Sei bravissima!
Hai una sensibilità! Come sei acuta! Sei una persona speciale! Sei completa!
Sei la più brava!
Ed ecco che queste sviolinate, sia che ce le confezioni ad arte qualcuno, sia che ce le confezioniamo ad arte noi stessi quando gongoliamo in uno dei nostri successi, ci producono una bella scarica di endorfine che si rilascia nel nostro cervello e lo inonda, con grande godimento e leggera ripercussione sull’esame di realtà. E così, volando tra unicorni e arcobaleni a contemplare la nostra magnificenza, ci perdiamo la vista della realtà.
Però..dai.. non accade sempre. A volte i complimenti e i riconoscimenti che otteniamo sono sinceri e aiutano a sostenere una visione di sé più positiva, soprattutto se, in fondo in fondo, ho la tendenza a sentirmi sbagliata e non all’altezza delle altre persone o delle mie personali aspettative. È l’altro che ti presta i suoi occhi per poterti vedere o è il riconoscimento che rispecchia e ti aiuta a riconoscere il tuo talento e il tuo buon lavoro e che attiva le tue risorse, stimolando motivazione, proattività e resilienza.
Quindi c’è il complimento e il riconoscimento che allarga la tua visione, amplia il tuo sentire e sostiene il tuo agire. E c’è invece il complimento, la lusinga, o il bisogno di essere al top, di fare tutto benissimo a costo di non fare niente, il bisogno di sedersi nell’olimpo a contemplare le misere vicende dei comuni mortali, che offuscano la visione e che come un fumogeno sparato davanti agli occhi, permettono di filtrare leggermente la realtà.
Ma com’è che le lusinghe, esterne o interne che siano, funzionano proprio come il canto delle sirene e non riusciamo a resistere? Com’è che ci conquistano?
Però dai, su.. anche questo non avviene sempre. Ci sono ambiti in cui, se ricevo un complimento, so riconoscere se è sincero o se è una tattica seduttiva e manipolatoria. Lo posso percepire magari da un sottile, impalpabile dettaglio e ho chiaro se l’altro mi apprezza o mi vuole, anche in modo non del tutto intenzionale, turlupinare. Qua distinguo la realtà molto chiaramente. Come mai in questi ambiti ho il piacere di sentirmi apprezzata, ma non ho la scarica di endorfine che mi manda in pappa il cervello?
Visto che ho tirato in ballo il canto delle sirene…. Ulisse vuole sentire il potere del canto delle sirene ma è consapevole della loro forza e dell’impossibilità di resistergli e si fa legare. Sa di essere debole. E sapendolo, si fa legare, si obbliga a non reagire. Trasforma cioè la sua debolezza nella sua forza.
Le debolezze. Le ferite. I miei sotterranei, privati, indicibili pensieri. Appena sotto la posa da Dea che le lusinghe e i successi mi portano ad assumere, quali retropensieri ci sono? Quale indicibile verità non ho il coraggio di dirmi? Quale vergogna? Quale antico dolore? Posso davvero essere spontanea? Libera? E manifestarmi, al mondo e a me stessa, con i miei talenti, la mia intelligenza, sensibilità e bravura e con le mie debolezze, le mie fragilità, le mie paure? Posso osservare dentro di me i miei egoismi, avidità, le gelosie, l’invidia, il disprezzo, il cinismo, tutta la vasta gamma dei sentimenti più biechi, o mi penso come ad un essere splendente che può solo migliorare? Insomma finirei per raccontarmela di brutto.
E così ammantare la realtà interna ed esterna con le mie proiezioni preferite.
E così Kevin non riconosce il Diavolo, né prima né dopo.