“ Non riesco a rilassarmi, ho avuto un’infanzia difficile “
“Quanti anni hai?”
“28”.
“L’infanzia è passata. Rilassati”. Il metodo Kominsky.
Amo la montagna. I prati verdi, le vallate, i boschi, l’ipnotico tintinnare dei campanacci, le cime rocciose, quell’immensità che riporta l’uomo alla dimensione di una formica, gli arcani silenzi delle altitudini.
Poi ci sono i ghiaioni. Quei temibili sentieri in alta quota che tagliano il fianco della montagna e si appoggiano su una distesa di detriti, ciottoli e ghiaia, temibili solo per me evidentemente, dato che tutte le persone normali li attraversano con un passo inspiegabilmente spedito.
Per cui, essendomi trovata al cospetto di un ghiaione, dato l’irrazionale terrore che mi suscitava, non ho trovato di meglio da fare per superarlo, che gattonare, il che mi sembrava già più dignitoso del rimanere ferma immobile o di farmi tutto il percorso a ritroso, quando oramai il rifugio era lì, davanti ai miei occhi.
Da allora in poi una certezza si è consolidata nella mia vita. I ghiaioni non fanno per me. Croce nera sui ghiaioni. Che poi insomma si può vivere una vita lunga e felice anche senza i ghiaioni. Però frequentando la montagna, dai e dai.. era solo questione di tempo. Per cui mi son ritrovata di nuovo davanti ad un ghiaione.
Questa volta però non mi coglie di sorpresa e mi dico.. un ghiaione è solo un ghiaione e mi appresto a tagliarlo. Per scoprire purtroppo che nulla era cambiato nella mia percezione e le brutte sensazioni di allora sono tali e quali oggi. Di nuovo mettersi a gattonare… Solo che alla mia più matura età è ancor meno dignitoso. Rimango ferma pensando a come affrontare la faccenda. Ed ecco il mio personale Deus ex machina nella forma umana del nonno di Heidi, che si stacca da un gruppo di tedeschi e mi viene incontro. Mi dà la mano, cammina davanti a me e mi conduce. Senza tante storie sul perché e per come, senza domande e senza giudizi. È accogliente, solido, sicuro e io mi affido completamente. In un baleno e in andatura bipede, supero il ghiaione. Mi saluta con una stretta di mano, Wolf.
Siamo esseri umani con i propri limiti, razionali o irrazionali che siano, e “il volere è potere” spesso si infrange contro la dura realtà dei propri personali ghiaioni. Su certe cose, può essere che da soli non ce la facciamo. Non che così abbia necessariamente sconfitto la paura del ghiaione, ma ho imparato che il ghiaione può non essere un ostacolo insormontabile se posso affidarmi all’aiuto di una persona esperta di cui mi fido.
Ma il punto qual è? Il punto è che le cose non sono fisse e immutabili, i miei pensieri, le mie sensazioni, il modo di gestirle e di affrontarle, le mie reazioni, le mie idee, le mie emozioni, i miei gusti, i miei tratti di personalità, così come i miei limiti, le mie paure, i miei blocchi, tutto è suscettibile al cambiamento.
Il problema invece è serio quando sono così convinto di tutte le etichette che mi appiccico addosso per definire e raccontare chi sono, che non sono disponibile a nessuna variazione sul tema. Il rischio paradossalmente potrebbe essere che, più penso di conoscermi, più mi identifico in quello che penso di me, in una sorta di obbligo inconsapevole ad aderire ad un nuovo copione esistenziale, magari più funzionale che in passato, ma pur sempre un copione. Potrei invece considerare la mia personalità come la maschera che mi permette di interpretare la mia vita e che mi è utile, anzi necessaria. Ma se la posso osservare nelle sue sfaccettature e sfumature, chi c’è dietro la maschera? Chi è che osserva? Posso dire che io sono alta, io sono bassa, io sono così e non colà, quando forse l’unica cosa che potrei dire è: io sono.
Tutte le volte che aggiungo aggettivi all’io sono, mi definisco, mi limito e mi intrappolo nei suoi confini. Divento un fermo immagine, molto rassicurante, ma una semplice illusione della mente, dato che in natura non esiste nulla che sia immobile, tutto scorre e si trasforma. Certo mette ansia questa mancanza di fissità, di punti fermi, ma forse dei punti fermi li posso cercare nella direzione dei miei movimenti, nel conoscere cosa mi muove e per cosa mi muovo, più che in quello che penso di essere. Il prezzo da pagare altrimenti è il rischio di non andare più in montagna perché i ghiaioni mi spaventano, di essere eternamente bloccato in un ruolo, un eterno studente, un eterno figlio, un eterno bambino, trovarmi bloccato in uno stato, in un copione, senza rendermi conto davvero di essere un adulto che ha i giorni contati nei suoi panni e di fare né più né meno quello che il criceto fa sulla ruota, giorno dopo giorno, dopo giorno.
Vincere queste forze da soli è un’impresa assai ardua. Ci raccontiamo storie, ci lamentiamo che ci capitano sempre le stesse sfighe, abbiamo credenze ben definite su chi siamo e chi non siamo e pensiamo che tutto questo sia vero. Per vederci in quello che siamo in questo momento, per vederci nelle nostre forze e nelle nostre fragilità, nelle nostre luci e nelle nostre ombre, per trovare la forza per abbandonare la comodità che le nostre stesse fragilità ci garantiscono, può venirci in aiuto il vederci da un’altra prospettiva.
Questo però non potrebbe comunque riportarmi al paradosso di cui sopra, in cui più mi conosco, più mi fisso in quello che penso di conoscere di me?
Forse, semplicemente mi basterebbe pensare alle caratteristiche in cui mi riconosco, come a delle possibilità, non come a delle “verità fattuali”, e muovermi cioè in un campo di possibilità in cui l’Io si plasma attraverso le esperienze, le non esperienze e l’apprendimento attraverso la riflessione su di esse, piuttosto che muovermi sui binari della presunta conoscenza di me che mi riportano dritto alla stazione di partenza dell’idea di me.
Ma da soli è dura, molto molto dura.. stando dentro la nostra mente come a bagno in un brodo primordiale, non riusciamo a vederla e la confondiamo con la realtà. Abbiamo bisogno di specchi e di mani.
Per fortuna non siamo criceti e per fortuna non siamo soli. Per fortuna il mondo è pieno di occasioni e di mani di Wolf. L’importante è mettersi nella disposizione d’animo per vedere queste mani e lasciarsi condurre un pochino, al di fuori dell’idea di sé.