E se i medici potessero stampare, direttamente all’interno del corpo umano, strutture miniaturizzate in grado di riparare tessuti, rilasciare farmaci o monitorare funzioni vitali?
Facile saltare con la memoria a film come “Viaggio Allucinante” (1966) o “Salto nel buio” (1987): mezzi simili a sottomarini, con tanto di equipaggio, miniaturizzati e iniettati dentro il corpo dell’inconsapevole malcapitato di turno.
Fortunatamente, la ricerca in questione non prevede niente di così drammatico e decisamente fantascientifico ma, sicuramente, risulta essere altrettanto complessa e non priva di inventiva.
Si tratta di una tecnologia pionieristica sviluppata da un team di ricerca del California Institute of Technology (Caltech). La nuova tecnica, pubblicata sul Science lo scorso 8 maggio, consente la stampa 3D di materiali polimerici funzionali direttamente nei tessuti profondi di organismi viventi, con un livello di precisione e sicurezza mai raggiunto prima.
Questo approccio, chiamato DISP (Deep Tissue In Vivo Sound Printing), rappresenta un’evoluzione davvero decisiva rispetto ai metodi tradizionali di stampa biomedica. La stampa 3D esterna è già impiegata per realizzare protesi, impianti e strutture personalizzate, ma limitata dalla necessità di un impianto chirurgico: complesso e ingombrante. D’altronde, la sua applicazione interna è stata finora ostacolata da limitazioni tecniche fondamentali: l’impossibilità di attivare la stampa con sufficiente precisione nei tessuti profondi, la necessità di utilizzare materiali compatibili con l’organismo e la difficoltà di monitorare il processo in tempo reale.
Oltre i limiti della luce…entra in gioco il suono.
Tradizionalmente, per avviare la polimerizzazione dei materiali all’interno del corpo, si è fatto affidamento sulla luce infrarossa che, però, penetra solo per pochi millimetri sotto la pelle.
“…la penetrazione degli infrarossi è molto limitata. Raggiunge solo la parte appena sotto la pelle.”, afferma Wei Gao, professore di ingegneria medica al Caltech e ricercatore presso l’Heritage Medical Research Institute e team leader dello studio, “La nostra nuova tecnica raggiunge i tessuti profondi e può stampare una varietà di materiali per un’ampia gamma di applicazioni, mantenendo al contempo un’eccellente biocompatibilità.”
Wei Gao e il suo team hanno pensato di aggirare questo ostacolo sfruttando un altro tipo di energia fisica: gli ultrasuoni focalizzati, già ampiamente utilizzati in campo medico per imaging e terapie non invasive.
Gli ultrasuoni hanno il vantaggio di poter essere indirizzati all’interno del corpo umano con alta precisione, anche a profondità significative, e senza danneggiare i tessuti circostanti. Tuttavia, per usarli nella stampa 3D, avevano bisogno di un modo per innescare il crosslinking (il legame dei monomeri in un punto specifico e solo quando desiderato), serviva una sostanza che potesse reagire selettivamente ad una piccola variazione di temperatura, innescando così la “metamorfosi” del materiale.
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“La piattaforma DISP (Deep Tissue In Vivo Sound Printing). La tecnica combina gli ultrasuoni con liposomi sensibili alle basse temperature, caricati con agenti reticolanti. I liposomi, spesso utilizzati per il rilascio di farmaci, sono immersi in una soluzione polimerica contenente i monomeri del polimero desiderato, un mezzo di contrasto per immagini che rivela quando si è verificata la reticolazione (qui, le vescicole di gas utilizzate a questo scopo sono rappresentate da esagoni) e il carico che intendono veicolare, ad esempio un farmaco terapeutico. Gli scienziati utilizzano ultrasuoni focalizzati per aumentare di alcuni gradi la temperatura in un’area mirata, inducendo i liposomi a rilasciare il loro contenuto e ad avviare la stampa in un punto preciso.”
Liposomi termoresponsivi: o meglio, la chiave dell’attivazione controllata.
La soluzione è arrivata sotto forma di liposomi sensibili alle basse temperature: minuscole vescicole sferiche con membrane lipidiche simili a quelle cellulari. Questi liposomi vengono caricati con agenti reticolanti, ovvero sostanze capaci di indurre il legame tra monomeri all’interno del bioinchiostro (come viene definito il materiale usato nella biostampa 3D). Una volta inseriti nella miscela, che include anche i monomeri polimerici e il carico utile desiderato (farmaci, cellule, materiali conduttivi), i liposomi restano stabili finché non vengono attivati dagli ultrasuoni.
Basta un innalzamento locale della temperatura di soli 5 °C (ottenuto, appunto, tramite gli ultrasuoni focalizzati) per innescare il rilascio dell’agente reticolante e, quindi, la polimerizzazione del materiale nel punto esatto in cui è necessario. In questo modo, la stampa avviene on demand, in maniera altamente localizzata e senza interventi invasivi.
Come sottolinea Gao: “Aumentare la temperatura di qualche grado Celsius è sufficiente perché la particella liposomiale rilasci i nostri agenti reticolanti […] Dove vengono rilasciati gli agenti, è lì che avviene la polimerizzazione o la stampa localizzata.”
Immagini in tempo reale…controllo totale.
Altro vantaggio della piattaforma DISP è la possibilità di monitorare in tempo reale l’intero processo. Per farlo, i ricercatori hanno incluso nel bioinchiostro delle vescicole gassose derivate da batteri, che fungono da mezzo di contrasto ecografico. Queste capsule proteiche piene d’aria sono visibili durante l’imaging a ultrasuoni e cambiano il proprio comportamento visivo quando il materiale passa dallo stato liquido a quello polimerizzato, così, gli operatori possono vedere esattamente dove e quando la stampa è avvenuta, fornendo un feedback immediato e prezioso, soprattutto, quando si opera su organi in movimento. Inoltre, in futuro il team prevede di integrare l’intero sistema con algoritmi di intelligenza artificiale, in modo da automatizzare la localizzazione e l’attivazione del processo anche in condizioni dinamiche complesse.
“In futuro, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, vorremmo essere in grado di attivare autonomamente la stampa ad alta precisione all’interno di un organo in movimento, come un cuore che batte”, afferma Gao.
Versatilità mai vista: dal cancro alla riparazione tissutale, in modo personalizzato e mininvasivo.
Una delle applicazioni più promettenti della tecnologia DISP riguarda il trattamento dei tumori. In un esperimento condotto sui topi, i ricercatori hanno utilizzato la piattaforma per stampare idrogel caricati con doxorubicina (un potente chemioterapico) nei pressi di un tumore alla vescica. Rispetto alla tradizionale somministrazione sistemica del farmaco, il risultato è stato una mortalità cellulare tumorale significativamente più elevata e con il vantaggio di colpire il tumore in modo mirato e, di conseguenza, con minori effetti collaterali.
“Abbiamo già dimostrato in un piccolo animale che possiamo stampare idrogel caricati con farmaci per il trattamento dei tumori.”, afferma Gao, “Il nostro prossimo passo è provare a stampare in un modello animale più grande e, auspicabilmente, nel prossimo futuro potremo valutare questa possibilità anche sugli esseri umani.”
Ma le potenzialità della DISP non si fermano qui. Anche Elham Davoodi, autore principale della pubblicazione dello studio, oggi professore associato di ingegneria presso l’Università dello Utah, sottolinea altri aspetti sulla eccezionale versatilità della DISP: dal rilascio controllato di farmaci, alla stampa di circuiti bioelettronici, fino alla medicina rigenerativa.

“Alcune strutture polimeriche di idrogel stampate con la tecnica di stampa sonora in vivo.”
Crediti: Elham Davoodi e Wei Gao
Non resta che incrociare le dita…due volte.
La ricerca ci prospetta un futuro dove la medicina, oltre a guarire, riesce anche a stupire; dove azioni, interventi e processi curativi vedono la presenza umana sempre più delocalizzata se non ridotta al minimo. Grazie all’aiuto dei naturali processi chimici e biologici, opportunamente guidati dalla scienza e perfezionati da IA sempre più performanti, la qualità delle terapie, potenzialmente, rasenteranno la perfezione.
Resta da sperare che tutta questa “eccellenza” venga resa anche “popolare”.
by O. D. B.
Fonti:
https://www.caltech.edu/about/news/3d-printing-in-vivo-using-sound