Gemelli? Boh, forse Si dice che ognuno di noi ha una doppia anima, la mia sicuramente è tripla. by D&D
Quello che state per leggere non è il prodotto di ricerche accademiche, ma divagazioni di un passante per caso intorno alla tecnologia.
Gli algoritmi di raccomandazione: impiccioni e pettegoli
Ti sei mai fermato un attimo, magari mentre sorseggi il tuo caffè mattutino (o il quinto espresso della giornata), a riflettere sul motivo per cui la tua playlist di musica sembra sempre in sintonia con il tuo umore? O perché, dopo aver pensato vagamente di comprare un nuovo libro, Amazon ti suggerisce proprio quel titolo? Come fa a saperlo?. Semplice. dietro a tutto ciò, operano gli algoritmi di raccomandazione, veri e propri geni invisibili del mondo digitale. Sì, sono geni invisibili, ma anche un po’ impiccioni e pettegoli, come la zia Rosina al pranzo di Natale.
Il termine “algoritmo”, per chi non è un geek dell’informatica o non ha mai provato a risolvere un cubo di Rubik in meno di dieci secondi, indica un insieme di regole o procedure che producono un risultato o un’appartenenza ad un gruppo. E questi algoritmi sono davvero ovunque, come i Pokémon negli anni ’90. Decidono le notizie che leggiamo, i prodotti che potremmo desiderare acquistare, e persino chi potrebbe essere il nostro prossimo “match” su un’app di incontri. Sì, sono un po’ come quei vicini curiosi che, pur non mostrandosi, sembrano conoscere ogni dettaglio della tua vita, incluso quel segreto che pensavi fosse ben nascosto.
Questi sistemi analizzano le nostre ricerche, i nostri acquisti, i post che ci piacciono e tutto il nostro mondo digitale. E, ammettiamolo, a volte sono più informati sulla nostra vita di quanto lo siamo noi stessi. Questo comportamento ha due facce. Da un lato, questi algoritmi rendono la nostra vita incredibilmente comoda. Non sai cosa cucinare stasera? Il tuo assistente virtuale ha già una proposta basata sulle tue ricerche. Vuoi un consiglio su quale film guardare? Netflix ha già preparato una lista per te, e sì, include quella commedia romantica che neghi di voler vedere.
Ma c’è anche un lato meno luminoso, come il retro della luna. Quante volte ti sei sentito intrappolato in una “bolla”, una echo-chamber dove le tue opinioni vengono continuamente rafforzate e riecheggiate, circondato solo da contenuti che riflettono le tue idee? E, in un mondo dove l’innovazione spesso nasce dal pensare “fuori dagli schemi”, questo può essere un problema. Senza contare il rischio delle fake news che trovano terreno fertile in queste camere d’eco, come funghi dopo la pioggia.
Poi c’è chi approfitta di questi algoritmi, che potrebbero utilizzare i nostri dati per mostrare post e contenuti capaci di influenzare le nostre opinioni. Non dimentichiamoci della privacy. Gli algoritmi sono affamati di dati. Più ne hanno, meglio funzionano. Ma ci siamo mai fermati a chiederci a quale prezzo?
Man mano che questi algoritmi, potenziati dalla AI, diventano sempre più sofisticati e integrati nella nostra vita, è fondamentale usarli con consapevolezza. Quindi, la domanda che dovremmo porci, parafrasando J.F. Kennedy, potrebbe essere: “Non chiediamoci cosa possono fare gli algoritmi per noi, ma cosa vogliamo noi dagli algoritmi”. E, come riflessione finale, mentre ci aggiriamo nel vasto mondo digitale, potremmo chiederci: questi algoritmi, con tutto il loro sapere, avranno mai un senso dell’umorismo come il nostro? O saranno sempre quei vicini di casa un po’ troppo curiosi e un po’ troppo invadenti?