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Il cinema dell’impunità e degli arcana – Seconda Parte

Il cinema dell’impunità e degli “arcana”. Elio Petri e „L’indagine su un cittadino al disopra di ogni sospetto“ (1970). Personaggi ed interpreti principali: Ginamaria Volontè (il commissario); Florinda Bolkan (Augusta Terzi). Musiche di Ennio Morricone. Seconda parte.

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OLDTIMER _italo Red - italo

La musica di Morricone accompagna perfettamente il ritmo dello sviluppo grottesco e feroce della vicenda, frequente sono le messe in scena di tipo teatrale, pure esse con un ritmo sovente, appunto, incalzante, a volte quasi a passo di corsa.

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Scene in cui il Commissario, magistralmente interpretato da Volontè con una recitazione conformemente eccessiva, è (quasi sempre) il dominus, anche quando sembra, opportunisticamente, mellifluamente e subdolamente, farsi piccolo di fronte a poteri superiori. Si esibisce spesso in situazioni sadiche, di prevaricazione e degradazione psicologica, per indurre comunque, nell’interlocutore, soprattutto, anche se non solo, negli interrogatori, un senso di colpa di fronte al potere e di smarrimento. Del resto lo stesso Commissario teorizza con chiarezza questo suo ruolo. Di assumersi il ruolo di Dio.

Chi appartiene alla legge non può essere giudicato da giustizia umana. Questo ci dice la citazione che chiude il film. La legge, quella non umana, quella del potere, di cui riceviamo contezza dall’epigrafe kafkiana in conclusione, è nascosta, non può essere rivelata, né nella sua logica, né nelle modalità delle sue esecuzioni. Nemmeno da chi pretende di incarnarla. Questo ci dirà il finale.

Abbiamo qui, alla fine, la confessione di innocenza del colpevole, il Commissario, quasi come se gli fosse estorta dal tribunale. Un innocente confesso dunque. Un rovesciamento grottesco del dramma di Raskolnikov in “Delitto e castigo” di Dostoevskij, richiamato in riferimento a questo film da Petri stesso. Come ogni rovesciamento ritroviamo sia l’originale, ma pervertito, che il suo opposto. Il colpevole diventa innocente. Ma il singolo non è il potere, non può dichiararsi dio. Nella sua sfida il commissario ha osato troppo? Di fronte all’autoconservazione di un potere coercitivo, manipolativo e repressivo?

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Il suo processo, infatti, quello non sognato – ma ci torniamo in chiusura -non può essere mostrato. Cala la saracinesca, si oscura il salone completamente a vetri, “trasparente”, dell’abitazione del commissario, dove si sta celebrando il suo processo… che viene oscurato. La già richiamata epigrafe kafkiana che chiude il film chiarisce solo apparentemente. Si consolidano gli “arcana imperii” e le relative impunità? Il vero processo è forse quello sognato dal commissario e quello “reale”solo una formalità? Oppure, per così dire, il contrario? Quale ne sarà l’esito? Non viene esplicitato. Una cosa è, comunque, certa: ogni idea di giustizia viene espunta, a nessuno importa che una vittima di omicidio la ottenga o nessuno lo crede possibile.

I conflitti esterni, inoltre, abbiamo già notato, vengono filtrati tramite le parole e gli ambienti dell’esercizio del potere e sembrano inadeguati. Frammentazioni e inadeguatezze delle contestazioni non sembrano scalfire, infatti, il potere stesso, la struttura dell’istituzione repressiva, secondo la rappresentazioni di Petri. A partire dalla posizione assunta da Pace, militante di sinistra/anarchico, antagonista del commissario, e amante della sua amante, che ha scoperto il “gioco” di quest’ultimo, ma non lo denuncia, per non favorirlo nel suo disegno. Lo lascia a se stesso. La reazione del commissario è apparentemente piagnucolosa ed implorante, ma tutto ciò non gli impedisce di portare fino in fondo la sua duplice sfida. Alla legge come norma pubblica ed al “potere”, di fronte a cui è determinato a dis-velare, come anche di fronte a se stesso, la necessità assoluta dell’impunità dei suoi servi.

Il Potere, dunque, ma non in senso astratto e non come il male antropologicamente fondato. Canetti direbbe fondato sulla sopravvivenza del potente rispetto ai suoi sottoposti. Piuttosto potere come istituzione, in questo caso repressiva e mirante alla propria autoconservazione.

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Potere come oggettività creata che si fa soggetto nell’efflorescenza dei suoi titolari, anche legittimi. Nulla a che fare nemmeno con i “poteri” di cui nebulosamente spesso si parla oggi, con le diverse endiadi: “poteri forti”,”poteri occulti”, “stato profondo”, e via discorrendo. Non perché in queste espressioni non possono essere nascosti dei grani di verità, ma perché il potere è ciò che tende a farsi tanto più oggettivo e apparentemente arcano, quanto più appare come trasparenza. Come norma pubblica, senza altri “residui”. Koselleck, autorevole ed importante storico tedesco della seconda metà del secolo scorso, ha lungamente analizzato questa specifica dialettica polare ed ineliminabile tra arcana imperii e trasparenza/pubblicità, evidenziandone anche le possibili implicazioni, in ambito politico e sociale, di tipo “rivoluzionario” (il rimando è, tra gli altri, al suo classico della storiografia e dell’interpretazione storica “Critica illuminista e crisi della società borghese”, trad.it. 1972, Bologna. Ristampato più volte)

Non è un film antropologico, quindi, e nemmeno solo psicologico, per quanto questo aspetto sia importante nello svolgimento della trama e per i caratteri dei personaggi. Non pone, in fondo, nemmeno questioni su l’uomo in senso metastorico, quasi metafisico. Anzi, storicizza il mondo raccontato. Dunque. Forse il commissario ha, però, una vera colpa, lo ribadiamo, di fronte alla Legge (qui quasi sovrapponibile al Potere): provare l’impunità sfidandola dall’interno e per motivi in fondo privati, anche se l’ autentica finalità riguarda il disvelamento – ma può essere consentito? – e la conferma della sua stessa natura . La sala – veranda del commissario, nel passaggio dalla totale trasparenza all’oscuramento finale, ricordiamo, pone appunto la questione.

Impunità come elemento degli „arcana“, il „secretum“ del potere dunque. Tema questo che, però, è molto più ampio. Vale a dire che è quello delle “anticamere del potere” e dell’accesso ai “titolari del potere”stesso. L’impunità serve si alla autotutela del potere, ma ha un rapporto indissolubile con il suo funzionamento, e non solo quando i suoi “secreta” occultano illegalità, violenza repressiva o qualsivoglia “trama”. Qui la questione si fa critica e di enorme portata.

I Poteri democratici e trasparenti che si presentano nelle nostre società odierne non risolvono, quindi, l’enigma ed i pericoli del „segreto“? Quale potere effettivo potrebbe poi farne a meno? Le risposte, se ci sono e sono esaustive, richiederebbero altra serietà di impegno ed altre capacità di riflessione. L’impunità, però, fa parte del „secretum“*, lo protegge – e potremmo, qui, accettare perfino l’espressione spesso ambigua e pervertita, pseudoanalitica e al limite del „complottismo“, di „Stato profondo“ – ma non può essere così impunemente e facilmente sfruttata per scopi del tutto privati e per dimostrare di essere al di sopra della Legge. Così perderebbe di funzionalità. Possiamo dire che, nella nostra storia, siamo, almeno, diventati un poco più esperti di questi temi.

Una domanda, però, ci si presenta, immediatamente. Abbiamo, alla fine, oggi più mezzi e strumenti per contrastarne gli effetti inquietanti ed oppressivi? Sembrerebbe di sì, sia per l’evoluzione storica delle istituzioni, per l’evoluzione della società che per maggiore consapevolezza del problema. Ma lascio le risposte definitive, certe e sicure di sè, sia positive che negative, agli utopisti e ai „complottisti“, che, in modo diverso, contribuiscono a tenere in vita l’impunità negli „arcana imperii“, al di là di ogni ragionevole, qualsivoglia, accettabile o meno, utilità o presunta tale. Siamo in attesa di un supplemento di „indagine“. Intanto meglio attenersi ad un ponderato atteggiamento critico e di attenzione alla questione.

E il film di Petri, che, probabilmente, abbiamo troppo sollecitato? Oltre a riportarci nel clima e nelle vicende, ancora non (sempre e non del tutto) chiarite di sessanta/cinquant’anni fa ed al drammatico, pur con tutte le novità che ha portato, decennio della nostra storia che vi farà seguito , ci suggerisce qualcosa di importante. Come un buon film deve fare. Ci invita a riflettere sull’enigma apparente del Potere, sulla sua dialettica di „segreto“ e „pubblicità“, senza rinunciare all’esigenza della critica della sua „impunità“, ma senza farci credere alla sua ineluttabilità e nemmeno illuderci sulla „trasparenza“ quando diventa un mito. Lo fa, in particolare, ma non solo, con il geniale coup de teatre della conclusione ed con il finale non filmico. Non filmico, non per immagini, ma reso incisivo e significativo proprio dal fatto che di un film si tratta. Dalla dissolvenza sul „processo“ al commento finale tramite un’epigrafe, Petri non ci consente di poter evitare la questione o di riuscire facilmente a liberarcene, in qualche modo. Insegnamento tanto più valido e interessante , quanto più ubiquo, in trasformazione e difficile da identificare sta diventando, oggi, il potere stesso.

*“La nozione di arcana imperii, di „secretum“ di tacitiana memoria, transitata poi nel pensiero della „ragion di stato“ e del „Dio mortale“ nella prima età moderna, trasformatasi in seguito diverse volte, dispone di una vastissima bibliografia. Come prima, solo preliminare ma utile lettura mi sento di consigliare l’editoriale introduttivo della rivista LIMES, 8/2018,.

By OLDTIMER


primo approfondimento on line

https://www.altalex.com/documents/news/2020/11/01/arcana-imperii-e-impiego-del-segreto-di-stato-nel-diritto-pubblico-romano

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