La parola ferisce ancor prima della spada.
Era la prima settimana del giugno scorso, quando l’Ammiraglio Samuel Paparo, capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, aveva delineato un piano strategico, dal sapore vagamente apocalittico, per affrontare una possibile invasione cinese di Taiwan. Paparo aveva dichiarato al Washington Post, durante un’intervista a dir poco priva di sfumature, che gli Stati Uniti intendono trasformare lo Stretto di Taiwan in un vero e proprio “paesaggio infernale” utilizzando migliaia di droni autonomi, sottomarini e imbarcazioni senza equipaggio.
“Voglio trasformare lo Stretto di Tawian in un inferno senza equipaggio, utilizzando una serie di capacità classificate…”
Amm. Samuel Paparo
Prima dell’inferno…una miserabile attesa.
L’idea, come spiegato da Paparo, è quella di “rendere assolutamente miserabile la vita dei cinesi per un mese”, una dichiarazione che ha messo in evidenza la crescente tensione tra le due superpotenze, tanto da non nascondere l’intenzione di far ricorso anche a tecnologie militari “classificate”, inclusa l’ormai onnipresente l’intelligenza artificiale.
L’obiettivo di Washington, creando questo “inferno tecnologico”, è di rallentare l’avanzata cinese e guadagnare tempo prezioso per rafforzare le difese di Taiwan. Le parole dell’ammiraglio non sono quindi da considerarsi a titolo personale. In realtà non si tratta che dell’ultima esternazione del “Replicator Initiative”, un progetto del Pentagono, già annunciato lo scorso anno dalla vice segretaria alla Difesa Kathleen Hicks, per dispiegare migliaia di droni e mezzi marini autonomi (guidati dalle I.A.) nell’arco 24 mesi.
Guerra fredda 2.0.
Una strategia volta a colmare un divario, in termini di arsenale militare, rispetto alla Cina che dispone di una flotta e di capacità militari sempre più imponenti. Una crescente corsa agli armamenti che mette in luce la pericolosa direzione che il confronto tra Stati Uniti e Cina potrebbe prendere.
Inoltre, la strategia americana di usare droni e altre tecnologie avanzate a controllo autonomo, solleva molte domande sulla natura della guerra moderna e sui rischi di escalation:
Quali saranno le regole d’ingaggio?
Quali garanzie esistono per evitare un conflitto su larga scala che coinvolga non solo Taiwan e la Cina, ma anche altre potenze della regione?
E soprattutto, quanto controllo manterranno gli esseri umani su sistemi d’arma sempre più autonomi?
In un contesto globale già teso, l’idea di un campo di battaglia popolato da macchine autonome aumenta i timori per la sicurezza e la stabilità regionale in modo esponenziale.
L’era digitale soppianta quella analogica e sabota la diplomazia.
Paparo, con le sue parole, non solo definisce la nuova “era digitale” delle strategie e tecnologie militari, prefigurando lo Stretto di Taiwan come una sorta di “banco prova”, ma non sembra nemmeno preoccuparsi delle reazioni che le sue parole settarie potrebbero aver provocato in quel di Pechino. Al contrario, secondo lui, i paesi della regione possono aspettarsi solo due scenari: sottomettersi all’egemonia della Cina o “armarsi fino ai denti”.
Inutile dire che un atteggiamento così intransigente potrebbe danneggiare seriamente ogni iniziativa diplomatica a favore di un’escalation militare.
E ora arriva il Seal Team 6.
Mentre l’eco delle parole dell’ammiraglio Paparo sul potenziale devastante di un tale scenario non accenna a scemare, nuove informazioni sono emerse nei primi giorni di questo settembre, rivelando ulteriori dettagli sui preparativi degli Stati Uniti per un possibile conflitto a Taiwan.
Secondo un rapporto del Financial Times, una squadra speciale della Marina degli Stati Uniti, il leggendario Seal Team 6, noto per essere una delle forze più d’élite dell’esercito statunitense, si sta addestrando specificamente per missioni di assistenza a Taiwan nel caso in cui venisse invasa dalla Cina.
Da più di un anno, Il Seal Team 6, lo stesso che nel 2011 portò a termine l’operazione per eliminare Osama Bin Laden, si sta preparando per eventuali missioni di assistenza a Taiwan presso il suo quartier generale a Dam Neck, in Virginia. Le esercitazioni sono mirate ad affrontare operazioni di alto profilo in un contesto estremamente complesso come quello di un’eventuale invasione cinese.
Inoltre, il Pentagono ha inviato forze speciali sull’isola per addestrare i soldati taiwanesi, un gesto che ha suscitato forti reazioni da parte di Pechino. Nei giorni scorsi, il governo taiwanese ha riportato la presenza di 29 aerei cinesi, otto navi militari e una nave ufficiale che operavano attorno all’isola.
Una flebile speranza.
Nonostante le crescenti tensioni, un segnale di dialogo tra le due superpotenze c’è stato.
Recentemente, il generale Wu Yanan, comandante del teatro meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese, ha partecipato a una videochiamata con l’Ammiraglio Paparo. Uno dei primi contatti formali tra le due forze armate dopo un periodo di rottura delle comunicazioni militari tra Cina e Stati Uniti. Il generale Wu, inoltre, dovrebbe recarsi al Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti alle Hawaii per partecipare a una conferenza sulla difesa organizzata da Paparo.
Forse, a dispetto di tutta questa retorica militare, a suon di rilancio di armamenti high-tech, c’è ancora spazio per il dialogo. Tuttavia, le preoccupazioni che circondano il futuro dello Stretto di Taiwan restano e la situazione rimane altamente “volatile”.
In attesa di novembre
Chiaramente, la situazione resterà sotto il segno di un fragile quanto instabile equilibrio almeno fino a novembre, quando sapremo chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Solo allora sapremo come agirà colui che vuol lasciare un segno degno al suo ultimo quadriennio, o colei che, invece, deve centrare il primo obiettivo di ogni Presidente Americano al suo primo mandato: un secondo mandato.
…e non è detto che i due obiettivi coincidano.
By O. D. B.
Fonti:
https://www.washingtonpost.com/opinions/2024/06/10/taiwan-china-hellscape-military-plan