"Si separarono con un solco più profondo le ragioni del bene e del male che dividono e compongono ad un tempo, la natura duplice dell' uomo."
Lo strano caso del dr Jekyll e mr Hyde.
Una giovane donna ha conosciuto per la prima volta il tormento dell’ amore. La gioia intensa ed esplosiva, l’ ansia bruciante dell’ attesa e dell’ incertezza, l’impazienza dei sensi, la minaccia della perdita, l’ossessività del pensiero che non riesce a spostarsi su altro, il nodo alla gola, le immagini che si susseguono nella mente. E questo sconquasso emotivo, che tutti conosciamo bene, bellissimo e terribile al tempo stesso, la porta in certi momenti a raccogliersi come un uccellino ferito dalle frecce di Eros, a tornare nel nido, a cercare un contatto materno, protettivo, pacificante. Un piccolo porto nel mare in tempesta dove attraccare per poter osservare un attimo da una postazione sicura, il tumulto del mare senza esserne risucchiata e sbattuta, un attimo di quiete in cui ritemprarsi prima di riprendere la navigazione. E c’è tanta più forza, coraggio e intensità in questo momento di abbandono, in questa resa, in questo mostrare tutta la propria umanissima fragilità, che in tanti adulti che affrontano duri e puri le tempeste della vita.
Il problema è sempre lo stesso. Siamo portati a categorizzare, a usare “nomi che tagliano a fette la realtà” per cui, la forza come fa a contenere la debolezza e la debolezza come fa a contenere la forza? Non riusciamo a vedere che possono coesistere, essere un tutt’ uno. E non solo separiamo ciò che dovrebbe stare unito, ma decidiamo anche quale parte è migliore e quale è peggiore, e infine stigmatizziamo.
Essere deboli è deprecabile nella nostra società, la forza invece è molto apprezzata e siamo socializzati ad essere forti. Ergo vivere intensamente il groviglio delle proprie emozioni con il rischio di scoprirsi deboli, fragili, vulnerabili, diventa sempre più un lusso, man mano che si cresce. Se sei maschio per carità, non piangere, non mostrare esitazioni e non fare la femminuccia o rischi di perdere il tuo status di vero maschio, se sei femmina puoi piangere, sei un po’ più libera su questo perché .. sei una femminuccia, una creatura angelica, debole e delicata. Volente o nolente non te lo scansi lo stereotipo. E invece..posso sfidare lo stereotipo? Posso abbandonarmi al dolore, all’ ansia, alla paura, all’incertezza, con la fiducia che non ne morirò? Posso cercare un contenitore che mi sostenga e che mi aiuti a viverlo, elaborarlo, e integrarlo nella realtà della mia vita? Un genitore, un amico, un partner, un terapeuta, un diario, un bosco.. c’è qualcuno o qualcosa da cui posso sentirmi sostenuta e che mi lascia libera di toccare il centro del mio dolore? abbandonarmici senza resistergli, nello stesso modo in cui gli alberi accettano il sole, la brezza, la bufera e la neve? Perché di fronte al dolore le reazioni più comuni sono la negazione o il crogiolamento, il vittimismo. Su cui poi, magari nel tempo vado a costruire “castelli di rabbia”. Reazioni che hanno manifestazioni molteplici ma in comune hanno qualcosa. È il non scendere fino in fondo. Posso galleggiare nell’acqua stagnante, girarci al largo o costruirci sopra fortezze, ma in comune c’è che la profondità mi è preclusa. Allora il punto è solo qua, a che profondità mi interessa vivere? Con quanta intensità, con quanta pienezza ? Perché “posso piangere, ma non tutto il mio pianto e ridere, ma non tutto il mio riso”, posso vivere cercando di amare ma nella migliore delle ipotesi dovrò accontentarmi di vedermelo passare vicino l’ amore. Intendo la forza dell’ amore. Non se trovo o non trovo la donna o l’uomo della mia vita. La forza dell’ amore che è mia, personale, che connota la mia esistenza, il mio modo di pormi, di guardare il mondo, le mie relazioni, l’ambiente, me stessa, che riguarda le mie scelte, che mi illumina e illumina. Che tipo di amore mi interessa? Quanto sono disposta a scendere in profondità?
Con quanta intensità, con quanta pienezza ? Perché “posso piangere, ma non tutto il mio pianto e ridere, ma non tutto il mio riso”, posso vivere cercando di amare ma nella migliore delle ipotesi dovrò accontentarmi di vedermelo passare vicino l’ amore. Intendo la forza dell’ amore. Non se trovo o non trovo la donna o l’uomo della mia vita. La forza dell’ amore che è mia, personale, che connota la mia esistenza, il mio modo di pormi, di guardare il mondo, le mie relazioni, l’ambiente, me stessa, che riguarda le mie scelte, che mi illumina e illumina. Che tipo di amore mi interessa? Quanto sono disposta a scendere in profondità?
Forse se voglio entrare nella stanza dell’amore e della gioia devo fare i conti con il dolore perché abita lì, nella stessa stanza. Nella stanza dell’ ansia forse ci trovo la speranza, in quella della forza, la fragilità, in quella del potere, l’impotenza. Nella stanza del bene e della luce, il male e l’oscurità. E la chiave che apre la porta al trascendente, forse apre la porta di tutti i miei attaccamenti. Vogliamo stare solo nel piacere? Allora accontentiamoci di piccole gioie, piccole speranze, una piccola vita con i nostri piccoli affari, magari condita da divertimento, successo, godimento, ma in fin dei conti, una vita piccola. Voglio pensarmi solo come un essere luminoso e splendente? Posso farlo, ma il lupo nero reclamerà il suo cibo in solitaria ostinazione manovrandomi nell’ oscurità per ottenerlo. Voglio pensarmi come un essere forte e indomito? Posso farlo, ma non mi permetterò di vivere tutto quello che mi espone all’ incertezza, al dubbio , all’ ambiguità, all’ indefinito e dunque al nuovo, rimarrò solo io con le mie credenze e le mie piccole certezze in cui posso sentirmi tanto forte.
Insomma a me pare che la chiave sia che ho bisogno di accettare che il nero contiene il bianco e il bianco il nero e che questi estremi contengono a loro volta tutte le molteplici variopinte tonalità e, soprattutto, che non c’è alcuna contraddizione, nessun conflitto da sanare, in questo. Questa visione può forse aprire all’esperienza della pienezza, della totalità, della realizzazione.
Se invece mi ostino a dividere e stigmatizzare le ragioni del bene e del male, finirò per uccidere sia Jekyll che Hyde.