
The Wicker Man OST (Paul Giovanni) – pubblicato: 1973 | Genere: Folk psichedelico, tradizionale britannico
Un disco che canta al sole… e prepara il rogo
Nel cuore degli anni ’70, mentre il folk revival britannico impazzava tra pub, festival e vinili (ed io fortunatamente non ero che in fasce), uno strano film usciva nelle sale: The Wicker Man (1973), pellicola cult diretta da Robin Hardy, un thriller esoterico vestito da fiaba bucolica, un viaggio disturbante in un’isola dove la tradizione è legge, e il canto… un cattivo incantesimo.
Quest’incantesimo mi ha catturato purtroppo qualche decennio dopo, quando per puro caso, mi sono imbattuto nella sua visione: una trama fascinosa che ruota attorno ad un poliziotto puritano inglese, Howie (interpretato da Edward Woodward), inviato su un’isola remota, Summerisle, per indagare sulla misteriosa scomparsa di una ragazza, Rowan Morrison.
Sull’isola Howie scopre che gli abitanti seguono una religione pagana incentrata sul culto della fertilità e praticano rituali antichi legati al ciclo della natura. Gran cerimoniere e Signore dell’isola è Lord Summerisle (Christopher Lee), leader materiale e spirituale della comunità. Mentre si immerge sempre più nella cultura locale, Howie, puritano, incorruttibile ed incredibilmente (a differenza del sottoscritto) resistente alle tentazioni della bellissima Willow, una delle ragazze dell’isola, scoprirà lentamente che la comunità ha piani oscuri per lui e che la sua stessa vita potrebbe essere in pericolo.
Se qualcuno non avesse mai visto questo film, è decisamente invitato a farlo. Ma questa non è una rubrica di cinema, quindi non divaghiamo: perché noi siamo qui per parlare non (solo) del film, ma della sua meravigliosa e difficilmente reperibile colonna sonora: un piccolo gioiello composto da Paul Giovanni, (1933 –1990), poliedrico artista statunitense (compositore, drammaturgo, attore e regista), insieme ai musicisti folk riuniti per l’occasione sotto il nome di Magnet. Non una raccolta di semplici brani: piuttosto un grimorio musicale che racconta un mondo altro, dove la natura parla, canta e può far male.
Più che una soundtrack, un rituale sonoro
A cavallo tra folk antico, psichedelia rurale e teatralità rituale, la colonna sonora si muove tra il familiare e l’ignoto. Gli strumenti — flauti, violini, chitarre acustiche, liuti, percussioni leggere — evocano la campagna inglese, ma anche un mondo dove ogni nota ha un valore sacro, ogni melodia una funzione esoterica.
Come in “Corn Rigs”, canzone da taverna, idillio bucolico, con testo adattato da una poesia di Robert Burns, eseguita con toni allegri e apparentemente innocui. Ma nel contesto dell’isola, questa serenata campestre suona come l’inizio di un incubo mascherato da festa contadina.
Che dire poi del fascino malvagio di “Willow’s Song”? Qui siamo di fronte all’Erotismo (sì, con la E maiuscola) sussurrato, ad una psichedelia mistica, alla magia seduttiva della mantide religiosa.
Probabilmente è il brano più celebre, interpretato da una voce femminile ammaliante. È una canzone d’amore e seduzione, carica di sensualità naturale e potere arcano. Un brano così potente da essere stato campionato e reinterpretato decine di volte.
E come non raccontare di “Gently Johnny”? Una canzone intima, di dolcezza perversa e romanticismo rituale. Una ballata lenta, quasi una ninna nanna amorosa. Ma come sempre, sotto la superficie c’è qualcosa di disturbante: l’amore in Wicker Man non è mai innocente, è sempre legato al rito. E ce lo spiegano (molto) bene gli anziani frequentatori del pub di Summerisle, che in
“The Landlord’s Daughter” coralmente e con svelata ironia popolare, intonano una
canzone da taverna, cantata con gusto e malizia. Un finto momento di leggerezza, in realtà un’esaltazione dei sensi e di gioia rustica, di torbida villanìa.
Cambia lo scenario ma non la sostanza, quando dopo gli arzilli anziani incontriamo, con “Maypole Song”, i bambini dell’isola. I quali cantano, ovviamente con canto infantile, una filastrocca sulla ciclicità della vita. Ma il contesto — la danza attorno al palo del maggio — e le immagini che l’accompagnano, rendono il brano profondamente disturbante. Un inno alla natura che profuma di morte. Con buona pace di Sergio Endrigo, che giusto un anno dopo riprese lo spunto nella nostrana “Per fare un albero ci vuole un fiore”.
Con “Procession” l’atmosfera si fa liturgica, l’armonia diventa tensione crescente, una marcia verso il sacrificio. È il momento in cui il disco abbandona ogni maschera e rivela il suo volto: non siamo più nel folk revival, ma nel pieno di un rito pagano, che si incarna nella bonus track di “Summer Is Icumen In” un canto medievale del XIII secolo, di celebrazione del sole.
Spesso considerato il primo esempio di canone polifonico inglese, Paul Giovanni lo utilizza come ritornello mistico del film — un inno alla primavera che, in questo contesto, accompagna la morte.
Testi e simboli: tra fertilità, eros e sacrificio
I testi affondano nel patrimonio popolare britannico, con citazioni da Burns, canti rituali, filastrocche e liriche oscure. Ma ogni parola è un gesto simbolico. Si parla di cicli naturali, fertilità, rinascita, desiderio e sacrificio — sempre con una leggerezza apparente, che nasconde un sottotesto spiazzante. I testi del disco — spesso tratti da tradizioni popolari scozzesi e inglesi — non sono mai didascalici. Sono ambigui, doppi, rituali, pieni di simboli naturali e sessuali. Parlano di raccolti, fertilità, amore, ma sempre con una tonalità sacra, a volte sinistra. Più che canzoni, sembrano incantesimi.
Questo uso del folk come veicolo religioso o esoterico fa della colonna sonora un’opera neopagana ante-litteram, perfettamente inserita nel movimento folk horror che avrebbe influenzato film, musica e letteratura nei decenni a venire.
Ed il suono infatti, è il film
A differenza della maggior parte delle colonne sonore, qui la musica non accompagna: è parte integrante del racconto. I personaggi cantano realmente nel film, le canzoni sono rituali, inni, seduzioni. La musica è il linguaggio dell’isola, ma il sergente Howie (a differenza dello spettatore) non lo capisce.
Qui siamo nel pantheon del folk britannico: inserita nella mappa del folk revival, l’opera di Paul Giovanni rappresenta un polo oscuro e rituale rispetto a colleghi come Fairport Convention, Steeleye Span o Pentangle. Se questi ultimi riscoprivano e modernizzavano la tradizione, The Wicker Man la trasfigurava, restituendole un potere arcaico e ancestrale, più vicino alla stregoneria che alla nostalgia.
Non a caso, negli anni successivi, il disco è stato venerato da scene neofolk, dark ambient, witch folk e da cineasti e musicisti in cerca di un’estetica spirituale antica e inquietante (pensiamo a Midsommar di Ari Aster, o a Hexvessel e Forest Swords).
Perché ascoltarlo oggi?
Perché è un viaggio. Perché ci ricorda che la tradizione non è solo memoria, ma potere. E perché in un mondo che ha paura del silenzio, questo disco riesce a far tremare con una nenia di tre note, un flauto e un canto sussurrato da dietro una porta chiusa.
Ascoltatelo come si legge un libro proibito. E ricordate: il sole di maggio è più pericoloso di quanto sembri.
Disponibile in ristampa su Trunk Records (2002) e in diverse edizioni limitate su vinile. Ed è su tutte le piattaforme streaming — anche se la versione completa resta un culto per pochi.
by Fabrizio Gelmini