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Volevo essere un Durov: Pavel e Telegram resistono

Roosteram italo red italo

Se i giganti del web sacrificano la privacy degli utenti in nome del controllo, c’è chi resiste. Pavel Durov, fondatore di Telegram, ribadisce la sua linea dura: “Niente backdoor, a costo di abbandonare un mercato”. Una presa di posizione netta, che suona come un monito in un momento in cui la crittografia end-to-end è sotto attacco in tutto l’Occidente.

La Francia prova a vietare la privacy (e fallisce)

A marzo 2025, il Senato francese ha approvato una legge che avrebbe obbligato le app di messaggistica a inserire backdoor per consentire alla polizia di accedere ai messaggi privati. Un provvedimento senza precedenti, che avrebbe fatto della Francia il primo Paese al mondo a bandire la crittografia forte. Fortunatamente, l’Assemblea Nazionale lo ha bocciato. Ma la battaglia non è finita: il Prefetto di Polizia di Parigi ha rilanciato la proposta, dimostrando che la minaccia è più viva che mai.

Durov non ci sta: “Persino Paesi considerati illiberali non hanno mai osato tanto”, scrive sul suo canale. E il motivo è semplice: una backdoor per le forze dell’ordine è una falla per tutti. Se creata, potrebbe essere sfruttata da hacker, governi stranieri o malintenzionati, esponendo i dati di milioni di cittadini onesti.

La falla nel ragionamento anti-privacy

La giustificazione? Combattere il crimine, specie il traffico di droga. Ma, come spiega Durov, è un’illusione: i criminali migrerebbero su app minori o userebbero VPN, rendendosi ancora più invisibili. Intanto, il cittadino comune perderebbe l’unico scudo contro sorveglianza e abusi.

Telegram, al contrario di WhatsApp (di proprietà di Meta, nota per diverse violazioni alla privacy), rifiuta ogni compromesso: “Preferiamo uscire da un Paese piuttosto che violare i diritti umani”. Una scelta radicale, coerente con una storia di 12 anni senza aver mai consegnato un solo byte di chat private. Se richiesti legalmente, fornisce solo numeri di telefono e IP, mai i messaggi.

L’ipocrisia delle grandi tech

C’è un altro aspetto che Durov non manca di sottolineare: l’ambiguità delle multinazionali del web.

Da un lato, aziende come Meta (proprietaria di WhatsApp e Facebook) si dichiarano paladine della privacy, dall’altro collaborano strettamente con i governi, fornendo dati su richiesta. Telegram, invece, non ha mai ceduto.

“Noi non scambiamo la privacy degli utenti per quote di mercato”, ribadisce Durov. Una presa di posizione che ha un prezzo: blocchi in alcuni Paesi, pressioni legali, accuse infondate. Eppure, Telegram continua a crescere, superando 900 milioni di utenti, segno che la gente vuole davvero alternative che rispettino la loro libertà. Una fiducia che si riflette anche sui mercati finanziari: le obbligazioni di Telegram sono scambiate ai massimi storici, dimostrando che l’etica della privacy può convivere con il successo economico.

L’Europa non impara la lezione

La vittoria in Francia è stata temporanea. La Commissione Europea ha già proposto una misura simile, spingendo per backdoor obbligatorie. Durov lancia l’allarme:“Nessun Paese è al sicuro dall’erosione delle libertà”.

Il messaggio è chiaro: la crittografia non è un privilegio, ma una necessità. Protegge giornalisti, dissidenti, imprenditori e cittadini comuni. Privarsene sarebbe un salto nel buio. E mentre le multinazionali del web trattano la privacy come merce di scambio, Telegram dimostra che resistere è ancora possibile.

La domanda ora è: per quanto tempo?

Per quanto tempo Pavel Durov riuscirà a resistere dal suo esilio dorato di Dubay?

dal canale Telegram di Durov

by Roosteram

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