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Un borghese piccolo piccolo – Prima Parte

Il borghese piccolo piccolo: tragico o grottesco nella nostra storia?

Oldtimer torna con le sue discettazioni, sollecitato da un autorevole mentore, alle volte inflessibile ma, al fondo, umano interprete della tristezza e della fragilità della “commedia umana”, di fama internazionale . Si tratta del Professor Unrat che , dalle profondità dell’animo tedesco, ha suggerito di rivedere un vecchio film italiano, forse oggi meno conosciuto, di un regista artefice della rappresentazione della “commedia umana” e del carattere italiano , e, secondo molti, dell’ “italiano medio”. Che si tratti di una riduzione troppo temporalmente e storicamente condizionata della sua portata, da commisurarsi, invece, probabilmente, con il metro della tragicità delle “commedie umane”? Si parla qui de “Il borghese piccolo piccolo”, romanzo di Vincenzo Cerami pubblicato nel 1976, adattato da Cerami stesso per l’omonimo film, del 1977, con attore protagonista l’ Albertone (Sordi) nazionale e con la regia di Mario Monicelli, che vede nel suo film il mistero insondabile del male che attraversa anche le persone tranquille. Sono questi i temi che dovremmo tener presenti?

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Il Trailler del film

Già si può cogliere un’anticipazione visiva del decorso della narrazione negli opachi contrasti crepuscolari di colori e luci delle scene, soprattutto famigliari, voluti da Monicelli, come anche nella monumentalità squallida degli edifici ministeriali, nei cui uffici, sepolti da cataste di pratiche recitano, sovente con cinismo e reciproca indifferenza, ma anche con emersioni di umanità , la loro giornata quotidiana impiegati, come Giovanni Vivaldi, il protagonista, funzionari di piccolo e medio livello, capi sezione, dirigenti. La “famiglia” formata dai colleghi esercita, infatti, la sua, apparentemente incruenta, ma immutevole, pervicace oppressione, cui corrisponde una altrettanto costante e “umoristica” “dissimulazione onesta”, che raggiunge il grottesco, in particolare con l’iniziazione di Giovanni Vivaldi, con la sua maschera tragico-caricaturale. Si tratta dell’Iniziazione, al livello più basso, ad una altrettanto grottesca massoneria, semplice strumento di fidelizzazione e subornazione. Iniziazione cui Giovanni si sottopone, dopo notti passate a prepararsi, per ottenere il necessario aiuto, come propostogli dal capoufficio, dottor Staziani, per il figlio per la meta agognata: il superamento del concorso pubblico al ministero. Sogno sappiamo necessario per innumerevoli schiere di giovani, e meno giovani, italiani per decenni, soprattutto, ma ovviamente non solo, nelle regioni centro-meridionali del Paese. Come hanno sottolineato Monicelli e Sordi in un intervista televisiva del 1977, ogni relazione gerarchica implicava, un rapporto di greve, quasi, fisica sottomissione ed umiliazione, ben rappresentato da una disgustosa sequenza in cui il dottor Staziani si ripulisce gli unti capelli dall’abbondante forfora di fronte al sottoposto, Giovanni Vivaldi, che aveva chiesto udienza per perorare la causa del figlio.

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Scena iniziazione – tratta dal film

Si assiste, già, qui allo svanire della dignità umana del protagonista, ma non solo alla sua, verrebbe da aggiungere. Disumanizzazione che si completa nella pianificazione e nell’esecuzione della sadica vendetta, travisata da risarcimento riparatore, per un’assoluta ingiustizia, della morte anonima e del tutto casuale del figlio, successivamente ucciso in una sparatoria durante una rapina , proprio la mattina del concorso pubblico, cui Giovanni aveva dedicato ogni sforzo.

Il giovane rapinatore, vittima dell’atroce vendetta di Giovanni, e suo figlio Mario, sono le uniche vere presenze giovanili nel racconto di Monicelli. Due personaggi destinati entrambi ad essere vittime: un rapinatore quasi ragazzo, che rimane costantemente, però, un non personaggio, ed il figlio , semplice impronta “ senza qualità” del padre. Per il resto la presenza delle giovani generazioni è quella di “comparsa”,viste da Giovanni con toni ostili.

Personaggio ridotto a maschera, anche nel dolore più estremo e autentico, è anche Amalia, la moglie di Vivaldi , consegnata ad una carrozzella ed al mutismo da un malore alla notizia della morte del figlio. La povera madre viene consumata nel corpo, nella ragione e nello spirito fino alla morte che ne consegue, senza mai riuscire ad esprimere, come non aveva mai potuto fare veramente nemmeno prima, il proprio sentire ed una parvenza di autonomia. Pur rimane, Amalia, nella sua muta tragicità, il personaggio più umano dell’intera vicenda. Vittima, ma non debole, del ruolo totalizzante di madre e nel ruolo di moglie, sempre rozzamente tacitata e avvilita dal marito Giovanni. Anche la sua religiosità si riduce a rituale magico propiziatorio per il successo di Mario al concorso, ed è priva di autentiche fede e morale.

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FILM COMPLETO – 1977

Nemmeno riusciremo mai a distinguere se, posta dal marito di fronte al giovane assassino sadicamente torturato nel capanno di Vivaldi, sia del tutto vittima inorridita o se assuma anche il ruolo morale ed emotivo di complice. Di certo è mero riflesso passivo della disperazione del protagonista per la perdita di tutto il suo piccolo universo,su cui, peraltro, prevaricava con un amore ed una dedizione del tutto distorti ed annichilenti. Disperazione che, innestandosi su un terreno già fertile, lo porterà a fare della vendetta e della violenza la chiave della relazione con il “mondo”, cui sarà sempre più estraneo. Senza dimenticarci, qui, magari a favore dei “borghesi piccoli piccoli” vincitori, che, per Monicelli, anche i Giovanni Vivaldi appartengono ai “vinti”, pur se a volte anche carnefici, della storia umana.

by Oldtimer

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