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Il mio nome è Bond, Ian Bond – Prima Parte

…oppure James Fleming a voi la scelta.

Una cosa è certa! Mai creatura e creatore vissero in una simbiosi tanto riuscita quanto tormentata.

In queste righe avrei voluto semplicemente raccontarvi “qualcosa” sui film dell’agente segreto di Sua Maestà…ma non ce l’ho fatta!

Seguendomi in questo scritto anche voi scoprirete che scindere la creatura dal creatore, la pagina scritta dalla celluloide, la creatività di un momento illuminante dalla realtà di un’intera vita vissuta è impossibile.

Ian Flemming: secondo figlio di quattro, nasce il 28 maggio del 1908 a Mayfair, Londra, la sua famiglia fa parte della aristocrazia inglese, Valentine, il padre, è un deputato conservatore.

Studente al college di Eton, dove si distingue in particolare per meriti sportivi, viene però cacciato per il suo temperamento troppo passionale (problemi con una ragazza…).

Prima giornalista scontento, ma così in gamba da “sfiorare” interviste a personaggi come Stalin e Hitler, poi, durante la seconda guerra mondiale, eccellente ufficiale al servizio del controspionaggio nell’intelligence della Royal Navy, specializzato nelle cosiddette “operazioni in nero” e in tecniche d’inganno e disinformazione. Finita la guerra, di nuovo giornalista per il Sunday Times, stavolta però così scontento da condurlo ad un passo dalla depressione.

Sul muro davanti alla sua scrivania aveva appeso la stampa di una spiaggia jamaicana: Montego Bay. Per Fleming quell’immagine sbiadita si trasforma, giorno dopo giorno, nell’unica possibile via d’uscita da quel suo piccolo, insopportabile inferno quotidiano.

Jamaica: Tenuta di Goldeneye.

Fleming conosceva bene quelle sabbie, quelle acque e quel cielo perfetti. Se ne innamorò sin dal primo momento che vi aveva messo piede nel ’39.

Nel ’52 vi fa ritorno con la contessa Anne Geraldine Rothermere Charteris come sposo.

Sposo fresco…e annoiato. Così comincia a scrivere.

Scrive di missioni segrete, intrigati complotti, assassini raccapriccianti. Ma stavolta non si tratta più di rapporti ammucchiati sulla sua scrivania negli uffici della Naval Intelligence inglese, o di un asettico e “noioso” dossier da presentare all’ammiraglio John E. Godfrey. Stavolta il protagonista è lui.

A volte, gli uomini che facevano ritorno da quelle missioni che lui stesso aveva pianificato, incoraggiati da una generosa dose di scotch e avvolti dal fumo di un buon sigaro, raccontavano…e Ian memorizzava. Non solo i fatti in sé. Oltre al “quadro” la sua attenzione era per i colori, le sfumature, i dettagli.

Dal 1952 al 1964 (anno della sua morte) scrive regolarmente. Tredici romanzi in tredici anni.

Tredici storie vissute dall’agente al servizio di Sua Maestà per eccellenza.

“…volevo un nome comune…semplice. Una delle mie letture preferite è -Birds of the West Indies- dell’ornitologo James Bond. Mi sembrava un nome discreto e lo rubai”.

00” è una sezione d’elite dell’MI6 con appunto licenza di uccidere, mentre il “7” non è altro che il numero sequenziale di assegnazione.

In Casinò Royale, il primo di quei magnifici 13,per la prima e unica volta Fleming descrive fisicamente Bond…e lo fa guardandosi allo specchio: capelli scuri, zigomi alti, stessa altezza, stessa corporatura.

La genesi è compiuta.

James Bond 007 è Ian Fleming. Una sorta di alter-ego, libero di fare tutto ciò che per Ian è addirittura indicibile.

Un assassino professionista privo di scrupoli, con un nome ordinario, in un mondo grondante di efferati assassini, popolato da personaggi avvolti da una densa, maligna, sensuale oscurità, portati sempre all’estremo. Il tutto confezionato con la diligente regolarità di un impiegato modello, al ritmo cronometrico di 2000 parole giornaliere per due mesi l’anno, tra gennaio e marzo.

Risme di carta, per l’epoca, assolutamente inedite e scabrose…forse troppo scabrose.

La certezza di Fleming di aver creato qualcosa destinato al successo anche (e soprattutto) per il grande schermo è granitica ma, ad eccezione di un ristretto gruppo di estimatori, da parte dei più l’accoglienza per Casinò Royale è scarsa se non scandalizzata.

“…lettura scioccante!”, “…opera mostruosa…”, “Sesso, snobismo e sadismo”, “Il peccato mortale di Fleming”, “Spazzatura Bond” (“Junk Bond”).

Perfino sua moglie Annie rifiutò che gli dedicasse la sua opera prima, ritenendola “…una porcheria piena di oscenità”.

Scoraggiato e in cambio di pochi spiccioli, Fleming vende i diritti di Casinò Royale agli americani che posero fine a quella agonia nel peggiore dei modi: l’uscita nel 1954 di un film a basso costo per la TV e, visto che negli Stati Uniti un agente segreto non può essere certo al servizio di sua maestà, lo “fecero” americano e della CIA: Jimmy Bond. Interpretato da un giovanissimo e ancora sconosciuto Barry Nelson.

TERRIBILE!

Ian Fleming scivola nell’abisso. Comincia ad abusare di scotch e anfetamine. Fuma 70 sigarette al giorno. Trangugia bottiglie di fenolo per combattere i suoi terribili mal di testa mentre il suo James Bond rischia di svanire per sempre o peggio ancora di restare solo un fumetto.

Ma poi accade qualcosa, la congiuntura per eccellenza….

O. D. B.

Fine Prima Parte

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O. Dylan

Fine Prima Parte

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