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I Bambini e la Guerra – Germania anno zero

OLDTIMER _italo Red
I bambini e la guerra. Classici del “neorealismo” alla Cineteca di Bologna. "Il vero realismo  non è una copia di questa o di quella circostanza di vita, ma la scoperta dell'essenza dei fatti, della loro legge psicologica o filosofica''.  (A. Tarkovskij). “Germania anno zero” di R. Rossellini (1947/48).  Oltre il punto zero?
By OLDTIMER

Si è scelta, sempre nell’ambito della rassegna tematica “ I bambini ed il cinema” della Cineteca di Bologna- Cinema Lumière di febbraio, di fare emergere una sorta di trilogia, una sorta di sotto rassegna, che si potrebbe intitolare “I bambini e la guerra”, i cui film ci illuminano anche sul periodo storico attuale.

Dopo ed insieme a Sciuscià (1947,1948) di Vittorio De Sica, la Cineteca di Bologna ha riproposto un altro capolavoro degli stessi anni del così denominato “neorealismo italiano”: “Deutschland im Jahre null”, correttamente riportato, una volta tanto, dal titolo in italiano: “Germania anno zero” di Roberto Rossellini (Italia/Germania/Francia 1947, 1948, bianco e nero, 78m). Sempre in versione restaurata nei laboratori della Cineteca, ma nel 2016 nell’ambito del Progetto Rossellini. Il film di Rossellini è stato premiato al Festival di Locarno.

Location del film, come oggi si suole dire, è la devastata, ridotta a rovine, Berlino dei primi anni del secondo dopoguerra. Protagonista è il tredicenne Edmund che cerca di contribuire, tentando di procacciarsi qualche piccola attività, al mantenimento della famiglia. Il padre è gravemente infermo e rappresenta, nella coralità dei personaggi, lo sforzo di critica del passato, il tentativo, seppur incerto e di chi non ha saputo opporsi, di non occultare le proprie colpe. Non a caso questo ruolo è attribuito ad una persona sofferente e fragile. Accanto al padre, il fratello, che vive, per il suo passato nazista, da clandestino nell’appartamento della famiglia, dominato dal terrore di ritorsioni ed una sorella, sulle cui spalle grava, praticamente per intero nonostante gli sforzi di Edmund, il sostentamento della famiglia. Senza risorse, per la sua giovane età, Edmund si unisce ai ragazzi di strada, che sono una componente rilevante nel film, e rivende anche oggetti rubati, dopo aver incontrato un suo anziano insegnante, con evidenti inclinazioni pedofile, che rimpiange i tempi andati. L’uomo, pur ombra di se stesso, vive ancora nostalgico, senza scrupoli e immerso nel passato. Sostiene la necessità della sopravvivenza dei più adatti e dell’eliminazione dei più deboli. E’ personaggio decisivo e fondante di tutta la vicenda, per quello che incarna. Qui sta la sua forza persuasiva e di convincimento.

Edmund , sotto l’influenza delle sue parole e della sua autorità di insegnante, uccide il padre, avvelenandogli il tè, nell’illusione di contribuire, così, alla sopravvivenza della famiglia. La corruzione morale, lascito del nazismo e della guerra, afferra anche i più giovani, che sono senza difese e senza esempi diversi da seguire e con cui crescere. Dopo essere stato scacciato dal vecchio maestro, Edmund vaga in solitudine tra le macerie cittadine, entra in una casa devastata e si getta nel vuoto. Una giovane donna , nelle sequenze finali, raccoglie il corpo esanime del ragazzo e con un’immagine esemplare di compianto sulla vittima innocente si conclude il film.

Sullo sfondo con l’ultimo allargamento di campo, di nuovo un palazzo in rovina e il transitare indifferente di un tram, che prendono l’ultima scena. Forse da qui può rinascere un orizzonte di salvezza, che porti a ricostituire un futuro, tra l’affannarsi nella ricerca di una ripresa della vita nella città fantasma. Sta qui e non tanto nei rari personaggi “positivi” (come la militante antinazista che compare in alcuni momenti) una drammatica e forse possibile apertura al futuro.

La città sembra, infatti, un deserto polveroso, di un chiarore a tratti abbagliante, sotto un sole luminoso, attraversato da rovine di edifici che proiettano ombre scure e masse buie, e da persone che sembrano aggirarsi in questo scenario senza averne piena coscienza, affannate, nel solo sforzo di sopportare l’indigenza, la fame e le difficoltà quotidiane.

E’ l’ anno zero, dell’azzeramento del passato e della sua presa sulla coscienza individuale e collettiva, dell’azzeramento degli orizzonti, al di fuori di una vitalità istintiva che ne cerca forse di nuovi. Per metafora: manca ogni sottosuolo da cui attingere una propria verità.

Tra di loro i soldati occupanti sembrano turisti interessati alle rovine dello sconfitto avversario ed alla raccolta di cimeli, come trofei. Oppure si mostrano intenti a divertirsi, conservando standard di benessere dei luoghi di provenienza. Gli abitanti, al contrario, somigliano a dei sopravvissuti in uno scenario di apocalisse, da fine del mondo. Le macerie della città distrutta sono il correlato oggettivo della solitudine e delle ferite insanabili inflitte nell’animo di una creatura innocente, da una catastrofe forse più che epocale. Rossellini ci invita a molto di più che a fare i conti con “un passato che non passa”, con una tragedia di dimensioni mai viste prima e con la corruzione che ne deriva e che non risparmia nemmeno gli innocenti, rendendo vittima chi proprio non lo era stata. Con che cosa, allora?

Pur rimanendo, dunque, aspetti di “un racconto di tipo corale”, come riporta Carlo Lizzani, co-sceneggiatore e aiuto regista del film, ( che ricorda anche l’importanza dell’incontro con Marlene Dietrich a Parigi, grande ammiratrice di Rossellini), il film di Rossellini sovrappone a questa dimensione della narrazione, fino alla sua messa tra parentesi finale, un’altra realtà, che emerge progressivamente man mano che lo stesso Rossellini, con i i suoi collaboratori, soggiornando a Berlino in preparazione delle riprese, rielabora , modificando la propria visione ed assumendo in primo luogo il punto di vista di Edmund. Uno sguardo perso, solitario, il punto di vista di uno sguardo sì innocente, di una vittima – l’infanzia come prima vittima di guerre ed ideologie aberranti – ma un’innocenza “corrotta”, appunto, dal sommerso del passato , tendenzialmente più che rimosso o disperatamente difficile da rielaborare. Cancellato dalla memoria e dalla coscienza. Una operazione epocale di cancel culture, direbbe qualcuno. E se una prospettiva, però, sul passato diventa forse impossibile o quanto meno parziale, non si rischia solo che questo infetti, in modo inaspettato – richiamerei qui, tra le altre, le riflessioni di Primo Levi in “I sommersi e i salvati” – il futuro, ma che, soprattutto, l’orizzonte possibile rimanga monco, come fermo costantemente all’ “anno zero”, un orizzonte vuoto, nonostante le nostre incrollabili e luminose certezze. Orizzonte che potrà essere riempito, e lo sarà necessariamente, da altro e da altri, magari con profonde lesioni nelle coscienze individuali e collettive. Forse questo ci lascia “Germania anno zero”, un interrogativo di fondo sul nostro essere nel mondo come persone e anche come europei. Non resta, in queste poche righe, che richiamare alcuni elementi del film per cercare di suggerire sviluppi alla riflessione. In ordine sparso e sconnesso.

I soldati “turisti” che cercano cimeli acquistano un discorso di Hitler su vinile da Edmund e, provando la merce, fanno riecheggiare la voce del Fuhrer negli spazi desolati della Cancelleria. Sottolineatura di un passato devastante che solo tra le rovine può ancora risuonare evanescente, o, al contrario, rievocazione di una presenza fantasmatica in un presente che rimane al punto zero? Nelle sequenze finali, mentre la cinepresa segue Edmund nel suo ultimo vagabondare, riecheggia una musica d’organo, proveniente da una chiesa diroccata. I rari passanti, tra cui Edmund, si fermano per ascoltare, per la breve durata dei suoni. Segno di speranza spirituale o della sua, di nuovo, evanescenza? Edmund inizia tentando di mescolarsi tra coloro che, per ottenere un po’ di cibo, scava fosse per seppellire i morti, che ancora numerosi si trovano tra le macerie, e alla fine, appunto, decide la propria fine. Un andamento ciclico che non si può spezzare? Infine, la giovane che, come in un compianto cinquecentesco, novella Maddalena, si accosta al corpo esanime di Edmund. Un segno di speranza?

Qui vale la pena richiamare quanto Rossellini inserisce all’inizio, in un cartello introduttivo:

„Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell’infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell’innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa.”

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Un critico tedesco, Hans Habe, sulla Süddeutschen Zeitung del 28.09.1949, come è noto, scrisse: “ Rossellini non raccoglie, in questo film, fiori dal sepolcro di una nazione, egli conduce se stesso nella bara.” . La prima vsione pubblica in Germania ebbe luogo solo nel 1978, a parte la proiezione nel Munchner Filmklub nel 1952. Nello stesso anno un’altra recensione accusa il film di non essere un reportage affidabile della situazione e Rossellini di dilettantismo. Mostrando, però, una grande superficialità di analisi. Solo dal 1995 si è proceduti ad una rivalutazione del film. Alla prima visione privata italiana, poi, per autorità, uomini politici ed addetti ai lavori Rossellini ricevette elogi, ma di fatto pochi consensi . Affermazioni e posizioni forse, anzi sicuramente, miopi, fuorvianti e dettate da esigenze ideologiche o di autodifesa. Tutte improntate, comunque, ad una critica, se non un’accusa, di una eccessiva mancanza di aspettative e di futuro. Abbiamo però trovate tutte le giuste risposte, e soprattutto quelle decisive, a quanto “Germania anno zero” sembra sollecitarci? Ne dubito, almeno per quanto mi riguarda. Ben vengano però!

Una cosa, però, parrebbe certa, la risposta di Rossellini stesso è tutta nella pietas, propria di un cristiano profondamente convinto,, nel senso autentico e non banalizzato del termine. Pietas con cui guarda ai suoi personaggi, tutti attori non professionisti e quindi profondamente partecipi delle situazioni registrate dalla macchina da presa, alla popolazione di Berlino, alla Germania, si vorrebbe dire a tutta l’umanità.

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