Storia di una eco che ebbe la meglio sulla voce…
“Nosferatu.
Questo nome non suona come un urlo di morte a mezzanotte? Non pronunciatelo forte, o le immagini della vita svaniranno nelle ombre, e gli incubi aumenteranno e si nutriranno del vostro sangue.”
Questa invettiva apparve per la prima volta al grande pubblico, sullo schermo cinematografico del Zoologischer Garten Berlin, il 4 Marzo 1922, dandoci il benvenuto, ancora oggi come allora, in un incubo di rara “bellezza”. Un’opera che tutt’oggi, tra gli inesorabili graffi del tempo, continua a stupirci per la sua attualità, tanto da essere considerato l’espressione più alta del cinema di Friedrich Wilhelm Murnau e una delle colonne portanti del genere horror e del cinema impressionista. Non per nulla, nei salotti buoni dei cinefili più pretenziosi, dove i vampiri sono interdetti, Lui è l’unico degno di considerazione.
Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) dello scrittore irlandese Bram Stoker, la “creatura” di Murnau, prima di essere riconosciuta come merita, dovette affrontare non poche traversie.
Infatti, quello che nacque come un evidente caso di plagio (la vedova Stoker chiese e ottenne dalla neonata British Incorporated Society of Authors la distruzione di tutte le copie…o quasi), solo col passare dei decenni ha assunto quella identità propria ed originale che, al contrario del Dracula elegante e sensuale del genio irlandese (esaltata nella settima arte dal leggendario Bela Lugosi prima e da un mastodontico Gary Oldman poi), ancora oggi stordisce e disturba. Il conte Orlok di Murnau si palesa dalle tenebre filiforme, contorto, ripugnante, con lunghi artigli che, come lame nere, tagliano spazi di luce asserviti solo ad esaltare ombre nere e dense che ricordano non poco le tele di Caravaggio. Inquadrature dall’ampio respiro, girate in esterno, lontano da studi cinematografici e scenografie artificiose (al contrario del cinema impressionista classico).
Dobbiamo al genio visionario del produttore e scenografo Albin Grau il make-up “esagerato” del mostro e la scelta delle location (tutt’oggi in gran parte intatte): la Torre della Marienkirche nel centro di Wismar, sulle sponde del Mar Baltico, la Heiligen-Geist-Kirche, chiesa dallo stile profondamente gotico, le magnifiche rovine dei magazzini del sale a Lubecca e il Castello di Orava in Slovacchia, ambientazione ideale per il maniero del Conte Orlok.
Il tutto magistralmente confezionato nella fotografia di Günther Krampf e Fritz Arno Wagner (quest’ultimo maestro assoluto della fotografia e al fianco di altri “Grandi” dell’epoca come Fritz Lang e G.W. Pabst).
Ma l’attenzione è solo per Lui: il non morto.
Un lungo abito nero avvolge e esalta la figura rigida, contorta, incorniciata dalle lunghe braccia che terminano con scheletriche dita artigliate. Il cranio glabro è contornato da orecchie appuntite e deformi, scavato dalle due orbite dove albergano occhi capaci di donare il niente assoluto e, per finire, i due incisivi frontali, retaggio di quei ratti portatori di peste che lo accompagnano come un esercito fido e silenzioso.
Il quarantatreenne Max Schreck interpreta al Suo Conte Orlok in modo così convincente, così viscerale da dar vita ad una serie di leggende che tutt’oggi trovano non pochi proseliti.
Gli svedesi ne rimasero così turbati da vietarne la proiezione. Divieto revocato solo vent’anni dopo.
Il Suo Nosferatu! La spina da infilare nel fianco di una borghesia tedesca, agli occhi di Murnau, sostanzialmente egoista, ipocrita, ormai totalmente avulsa dal resto del mondo e tronfia di un benessere ancora sporco di sangue delle vittime della Grande Guerra appena passata.
Con i suoi 101 anni “Nosferatu, eine Symphonie des Grauens” (titolo originale) continua a stupire e ispirare.
Tim Burton, nel suo “Batman, il ritorno” (1992), chiama Max Schreck il suo sinistro e manipolatore uomo d’affari interpretato da Christopher Walken.
La folle corsa del carro funebre di Nosferatu, ispirò Stanley Kubrick, per la sua Arancia meccanica, che girò interamente in retroproiezione le scorribande notturne di Alex e i suoi drughi a bordo di una esagerata “Durango 95”.
L’ambiente accademico della psicoanalisi non finisce di elaborare, nei suoi 94 minuti, ogni sorta di pensiero, elaborazione e riflessione di sorta.
Poco fa io stesso mi sono esibito in un accenno di analisi dal sapore squisitamente (spero…) sociopolitico.
Insomma! Potremmo stare ore a elucubrare su questa Opera, per poi scoprire che la sua grandezza, forse, sta proprio qui: o meglio nel riuscire a donare ad ognuno di noi emozioni e verità che hanno sostanza solo negli occhi di chi guarda…niente di più democratico direi.
Felice Notte Venerabili Jorge.
O.D.B.