Sempre più spesso si leggono sui quotidiani fatti di cronaca legati a delitti commessi da minori (bullismo, violenze, atti vandalici ed altri) e con il presente articolo si analizzeranno le responsabilità dei genitori in relazione alle condotte illecite della prole non ancora maggiorenne. L’art. 97 del Codice Penale prevede che non sia considerato imputabile il soggetto che non abbia compiuto i 14 anni di età. Il concetto di imputabilità implica la capacità di intendere e di volere, cioè la possibilità per il soggetto agente di conoscere il disvalore delle proprie azioni e le conseguenze sanzionatorie che l’ordinamento predispone.
Il legislatore ha dunque escluso che il soggetto non ancora quattordicenne abbia raggiunto un grado di maturazione tale da consentirgli di comprendere un rimprovero penale e la sua portata punitiva-rieducativa. L’art. 98 del Codice Penale stabilisce invece che sia imputabile il soggetto che abbia compiuto i 14 anni di età ma non ancora i 18 a condizione che vi sia capacità di intendere e di volere. La disposizione in parola impone una valutazione caso per caso del soggetto agente infra-diciottenne al fine di stabilire il livello di maturità psichica ed il grado di comprensione delle proprie azioni.
Qualora nell’ambito del processo penale sia accertata la capacità di intendere e di volere del minore con più di 14 anni e meno di 18, l’ordinamento prevede l’irrogazione delle sanzioni previste in relazione al reato commesso, seppur diminuite. In base all’art. 27 della Costituzione, la responsabilità penale è personale e ciò significa che il trattamento sanzionatorio conseguente al reato dovrà essere scontato da colui che ha commesso il fatto e non da altri.
Diversa è invece la regola della responsabilità civile conseguente al delitto poiché in base all’art. 2048 del Codice Civile il padre e la madre che abitano con il minore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori, salvo che dimostrino di non aver potuto impedire il fatto.
La disposizione in argomento si riferisce a due sfere di controllo, una prima che riguarda il dovere di istruire ed educare la prole (culpa in educando) ed una seconda che concerne la vigilanza effettiva sul minore (culpa in vigilando) (Bianca, Diritto civile, tomo V, la responsabilità, Milano, 2002, 697).
Il requisito della coabitazione genitori-figli si ritiene necessario per affermare la presunzione di responsabilità dei genitori perché solo la convivenza può consentire l’adozione di quelle attività di sorveglianza e di educazione, il cui mancato assolvimento giustifica la responsabilità medesima (Cass. civ. Sez. III, 13/04/1979, n. 2195 richiamata anche da Cass. civ. n. 11198 del 24/04/2019). Tuttavia, le Corti di merito non sono dello stesso avviso e ritengono che l’assenza di coabitazione stabile (si pensi al genitore separato che tenga con sé i figli per periodi di tempo inferiore rispetto all’altro coniuge) non
escluda la responsabilità posto che il precetto normativo impone che ambo i genitori. abbiano ben educato i propri figli e tale obbligo prescinde dalla condivisione del medesimo tetto (Trib. Milano, 22/09/2008, n. 11137, in Giustizia a Milano 2008, 9, 61; Trib. Milano, sez. X, 16/12/2009, in Resp. civ. e prev. 2010, 7-8, 1600).
In ogni caso, la responsabilità genitoriale sussiste per ogni fatto che il minore compia anche quando sia al di fuori della sfera di controllo del genitore (luogo reale o cyberspazio, in vacanza con gli amici, ad un corso sportivo, a scuola, ecc.)ed a prescindere dall’età, anche se prossima al compimento del 18° anno di età.
Ad esempio, riferendosi ad un caso di cronaca realmente accaduto, i genitori sono civilmente responsabili per l’omicidio di un ragazzo commesso dal proprio figlio di 17 anni e mezzo, poiché avevano ignorato i problemi psicologici ed esistenziali del figlio che aveva reagito in modo sproporzionato alle provocazioni (Cassazione civ. n. 18804/2009).
I Giudici hanno ritenuto che la responsabilità genitoriale discendesse dall’inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del figlio, cui è conseguito il disequilibrato sviluppo psicoemotivo e l’incapacità di dominare gli istinti, senza rispetto degli altri.
Cosa deve dimostrare allora il genitore per andare esente da responsabilità? I genitori debbono provare “di aver impartito al figlio una adeguata ed efficiente educazione, in relazione al fatto illecito specifico, atta ad escludere la culpa in educando” (Cass. civ. n. 9556/2009) e detta prova sarà possibile renderla solo laddove il minore abbia commesso reati di natura colposa (ad esempio, procurando un incidente con il motorino) mentre sarebbe diabolica da fornire laddove il figlio avesse commesso un reato doloso (spaccio di droga o lesioni volontarie) poiché la maggior gravità e la volontarietà delle condotte sarebbero del tutto incompatibili con il concetto di “buona educazione”.
I genitori diligenti sono chiamati a dimostrare di aver ben istruito la prole, inserendo i figli in ambienti educativi o formativi adeguati ed avendo impartito loro l’educazione ed il rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extra-familiari (la sentenza della Cassazione n. 3964/2014, ribadendo il principio testé richiamato, ha condannato i genitori a risarcire il sinistro stradale procurato dalla figlia sedicenne che aveva attraversato la strada incurante del semaforo rosso).
In conclusione, la prova liberatoria richiesta dall’art. 2048 del Codice Civile per sollevare i genitori dalle responsabilità risarcitoria per i fatti commessi dai figli minorenni sarà semplice solo laddove il minore abbia tenuto una condotta colposa, di scarso rilievo e scusabile nonostante la buona educazione ricevuta.
Avv. Leonardo Torsani