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parole – Resistenza

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Anche se il vostro Maggio
Ha fatto a meno del vostro coraggio
Se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre millecento.
Anche se voi vi credete assolti
Siete lo stesso coinvolti.

F.De André "Canzone del Maggio"

Ecco.. ma parliamo di Noi, non di Voi. Di noi esseri umani, della nostra natura. 

E cominciamo dagli albori.  Adamo ed Eva mangiano il frutto proibito e scoprono così il Bene e il Male, si accorgono di essere nudi, di essere due, di essere maschio e femmina. E non possono più fare parte del giardino dell’Eden, diventano esseri terreni, diventano esseri umani, governati dalla dualità degli opposti. È la nascita simbolica dell’essere umano. 

Certo l’ho presa un po’ da lontano. Veniamo a noi. Il punto è che ci pensiamo fondamentalmente buoni. E le guerre, gli stermini, i genocidi, le ingiustizie, le torture,i barconi con esseri umani accatastati, ci suonano impossibili, assurdi, ci suscitano un istintivo e protettivo “ ma com’è possibile? io non lo farei mai”. Ma forse potremmo prendere atto che questa è una storia che ci raccontiamo per poter continuare a chinare il mento su quello che accade appena fuori dal giardino dell’Eden. Quelle barbarie le hanno fatte e le fanno persone come me e se non bastasse la storia, l’attualità continua a sbattercelo impietosamente davanti agli occhi. Vogliamo vederlo? O preferiamo spostare altrove lo sguardo perché l’idea di essere fatti di bene e di male è intollerabile? Insomma l’essere umano non è solo buono. La psicologia sociale si è sbizzarrita in esperimenti che confermano di fatto questo assunto: è l’occasione che rende l’uomo ladro. Posto nelle appropriate condizioni, una persona del tutto normale, senza nessuna psicosi latente, potrebbe far parte di un sistema che sostiene uno sterminio per esempio. Ma siccome abbiamo rimosso di aver mangiato il frutto della conoscenza del bene e del male, espelliamo lontano dalla nostra coscienza il male e pensiamo che quelle sono mele marce, malati di mente, pazzi e noi no, noi non lo faremo mai e poi mai. 

Insomma un po’ continuiamo a vivere nel giardino incantato delle cose che ci raccontiamo. E ci assolviamo conseguentemente. Il passo successivo all’assoluzione è il non fare niente, o perché non voglio vedere o perché se vedo, sono poi schiacciata dal senso di impotenza perché io non posso fare niente per cambiare lo status quo. È tutto più grande di me, le catastrofi ambientali, climatiche, i flussi dell’immigrazione, le crisi economiche, il consumo di risorse, la violazione dei diritti basilari, le guerre che proliferano, i complessi equilibri o disequilibri geopolitici. Tutto è terribilmente più grande di me.  

E quindi mi ritrovo ad oscillare tra l’impotenza appresa, in cui mi sento una nullità rispetto a queste questioni, e la sindrome di Atlante che si porta il peso del mondo sulle spalle come se le vicende del mondo dipendessero dalle mie azioni.  E nell’oscillazione tra questi due stati opposti, attraverso sentimenti contrastanti e ambivalenti, come è normale che sia. Come conciliare questi due opposti stati dell’ essere? Per fortuna mi viene in aiuto Bonhoeffer che scrive, durante una  delle pagine più cupe della storia: «L’essenza dell’ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé». La parola chiave qua, a mio avviso, è Speranza. Non intesa come un generico “speriamo bene” che contiene un fatalistico stare alla finestra a vedere come va il mondo, ma come un processo di resistenza attivo, che sostiene la forza di fare il bene. Nonostante sembri che le cose precipitino verso il baratro. A prescindere da quello che spero di ottenere per me. A prescindere dal contesto che invita a farsi sostanzialmente i fatti propri.

Nonostante tutte le ingiustizie, i crimini, le torture, le ipocrisie, gli stermini, le guerre, gli orrori. Tutto quello che in realtà posso fare è fare il bene, nella mia piccola realtà, nel modo in cui mi è possibile, e sperare. Sperare che si inneschino spirali virtuose, che il bene porti altro bene, e che altre persone che ricevono il bene lo portino ad altre. Ed altre ad altre. Insomma Resistere. Resistere allo sguinzagliare le parti peggiori di me quando qualcuno mi ferisce. Resistere a chi rimesta nelle mie paure per dirmi di chi è la colpa e con chi prendermela. Resistere all’indifferenza. Resistere al semplice tirare a campare. Resistere alla deriva in cui mi portano i miei automatismi, resistere alla corrente delle abitudini. Resistere all’impotenza. Resistere all’onnipotenza. Avere la forza di guardare, senza chinare il mento, la realtà che mi circonda, ricordandomi che nell’uomo c’è tanto bene quanto male. Perché sennò tanto Atlante, quanto l’impotente,  tanto chi si indigna, quanto chi china il mento, rischiano di essere ” solo un bambino che non sopporta il dolore del mondo. Il mondo non è solo cattivo”. Grazie  Bella Baxter.

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