Era l’ottobre del 2022 quando, direttamente dal gotha della scienza mondiale, la Stanford University pubblicò un articolo destinato a segnare una svolta a dir poco significativa nella ricerca oncologica: la sintesi di un nuovo ed efficace farmaco antitumorale.
Il composto in questione è noto come EBC-46 o tigilanol tiglate e si trova naturalmente solo nei semi di una pianta rara della foresta pluviale australiana: la Fontainea picrosperma, comunemente chiamata albero Blushwood.
Tigilanol Tiglate: origini, potenzialità e difficoltà.
Il composto era stato inizialmente scoperto dalla società farmaceutica australiana QBiotics attraverso un processo di screening automatizzato di farmaci candidati. La Fontainea picrosperma, l’unica fonte naturale conosciuta di EBC-46, cresce solo in una piccola regione della foresta pluviale dell’Australia nord-orientale. Il suo frutto rosa contiene semi ricchi di tigilanol tiglate, che i marsupiali locali, come i ratti-canguri muschiati (Hypsiprymnodon moschatus), evitano a causa delle reazioni tossiche che provoca loro se ingerito.
Il tigilanol tiglate agisce promuovendo una forte risposta immunitaria localizzata contro i tumori. In pratica, rompe i vasi sanguigni che alimentano la massa tumorale e porta alla morte delle cellule cancerose. Questo meccanismo di azione lo rende particolarmente interessante per il trattamento di tumori solidi, specialmente quelli cutanei. Tuttavia, la limitata reperibilità del composto in natura aveva ostacolato la ricerca e lo sviluppo di terapie basate su di esso, e la sua struttura complessa aveva reso la sintesi chimica estremamente difficile, costringendo gli scienziati a considerare elaborate alternative per la produzione su larga scala.
Tuttavia, al motto “fai di necessità virtù”, un gruppo di ricercatori di Stanford (Zachary Gentry, David Fanelli, Owen McAteer ed Edward Njoo insieme all’ex membro Quang Luu-Nguyen), guidato da Paul Wender, professore di chimica e biologia chimica alla Stanford University, riuscì a sviluppare un metodo sostenibile e scalabile per sintetizzarlo in laboratorio, aprendo la strada ad applicazioni cliniche nuove…e impreviste.
“Siamo molto entusiasti di segnalare la prima sintesi scalabile di EBC-46”, ha affermato Paul Wender, “Essere in grado di produrre EBC-46 in laboratorio apre davvero enormi opportunità di ricerca e cliniche.”

Gli studenti di dottorato Edward Njoo, David Fanelli, Zach Gentry e Owen McAteer. Questi ricercatori hanno ottenuto la sintesi del composto antitumorale EBC-46. (Credito immagine: Paul Wender)
Dalla scoperta, alle innumerevoli applicazioni cliniche…
Già nel 2020, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense approvarono un farmaco a base di EBC-46, commercializzato con il nome di Stelfonta, per il trattamento del carcinoma a cellule mastocitarie nei cani. Gli studi clinici mostrarono un tasso di guarigione del 75% dopo una singola iniezione e dell’88% dopo una seconda dose. Sulla base di questi risultati, partirono sperimentazioni per il trattamento di tumori cutanei, della testa e del collo e dei tessuti molli negli esseri umani, e questo decretava una nuova necessità: la quantità.
Secondo Wender “Per una produzione sostenibile e affidabile di EBC-46, nelle quantità di cui abbiamo bisogno, dobbiamo davvero seguire la strada della sintesi.”
Gli scienziati individuarono un ottimo punto di partenza per la sintesi del tigilanol tiglate nel forbolo, un composto di origine vegetale abbondante in oltre 7.000 specie di piante. Dopo una serie di esperimenti, come materia prima per la produzione sintetica, selezionarono il Croton Tiglium, un’erba utilizzata nella medicina tradizionale cinese.
“Man mano che impariamo di più su come funzionano le cellule, stiamo imparando di più su come possiamo controllare quella funzionalità”, ha detto Wender. “Quel controllo della funzionalità è particolarmente importante nel trattare con le cellule che diventano ribelli in malattie che vanno dal cancro all’Alzheimer”.
…e una nuova speranza per la cura dell’HIV.
Recentemente, i ragazzi di Stanford hanno scoperto che l’EBC-46 possiede un potenziale straordinario anche per l’eradicazione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Nello studio pubblicato il 24 gennaio scorso su Science Advances, i ricercatori hanno dimostrato che il prezioso composto si è dimostrato estremamente efficace nel riattivare le cellule dormienti infette dal virus, un passaggio cruciale per il successo della strategia “kick and kill”, mirata all’eliminazione definitiva dell’HIV dall’organismo: una cura.

I coautori dello studio Jennifer Hamad e Owen McAteer. (immagine: Paul Wender)
“Siamo lieti di segnalare che l’EBC-46 ha funzionato estremamente bene negli esperimenti preclinici come parte di una terapia «kick and kill»”, ha affermato ancora Paul Wender. “Sebbene abbiamo ancora molto lavoro da fare prima che i trattamenti basati sull’EBC-46 possano raggiungere la clinica, questo studio segna un progresso senza precedenti verso l’obiettivo ancora irrealizzato di sradicare l’HIV”.
Stavolta, i coautori dello studio, affiliati a Stanford, includono Zachary Gentry, ora ricercatore post-dottorato alla Vanderbilt University, Owen McAteer, dottorando nel laboratorio di Wender e Jennifer Hamad, studentessa di biologia. Il team ha collaborato strettamente con ricercatori dell’Università della California, Irvine (UCI) e dell’Università della California, Los Angeles (UCLA).
Dopo tanti anni…
Secondo il Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’HIV/AIDS (UNAIDS), dal 1981, dall’inizio dell’epidemia di HIV, oltre 90 milioni di persone sono state infettate e circa la metà di loro ha perso la vita. Attualmente, almeno 40 milioni di persone convivono con il virus, e ogni anno si registrano circa due milioni di nuove infezioni. Sebbene le terapie antiretrovirali (ART) abbiano trasformato l’HIV in una condizione gestibile, esse presentano indiscutibili svantaggi, tra cui costi elevati, conseguente accesso limitato e necessità di assunzione a vita.
“È fondamentale alleviare il peso dei farmaci e le perdite economiche causate dall’attuale regime anti-HIV, soprattutto nei paesi in via di sviluppo”, ha affermato Wender.
Ma la ricerca va avanti.
Per valutare il potenziale dell’EBC-46, i ricercatori hanno esposto cellule latenti infette da HIV a 15 analoghi del composto. Incredibilmente, alcuni di questi analoghi hanno riattivato fino al 90% delle cellule trattate: un risultato quattro volte superiore rispetto al miglior agente noto fino a quel momento, la briostatina, che attiva solo il 20% delle cellule dormienti.
“I nostri studi dimostrano che gli analoghi dell’EBC-46 sono eccezionali agenti di inversione della latenza, che rappresentano un passo potenzialmente significativo verso l’eradicazione dell’HIV”, ha affermato Wender.
Dopo il successo ottenuto in vitro, i ricercatori hanno avviato test su modelli animali dell’HIV e stanno lavorando per portare la ricerca alla fase clinica sull’uomo.
“Il fatto che potremmo essere in grado di fare una differenza radicale nella vita delle persone affette da HIV è ciò che ci tiene svegli fino a tardi la notte e ci fa alzare presto la mattina”, ha affermato Wender.

La Natura ancora Maestra.
Ancora una volta è la natura a farci da Maestra eccellente.
A noi non resta che, innanzitutto, smettere di maltrattare la nostra preziosa “insegnate” e poi il non facile compito di alimentare con mezzi, uomini e donne eccezionali una ricerca dove l’intelletto e l’etica umane abbiano la meglio sulla gargantuesca voracità delle big pharma…augurandoci che il passato sia un consigliere non, di nuovo, ignorato.
Felice notte venerabili…
by O.D.B.
Fonti: