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Un borghese piccolo piccolo 2: tragedia individuale e storia?

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A Giovanni , in particolare dopo il pensionamento, rimane solo la pulsione della reazione violenta e della ricerca di una vendetta spropositata, perseguita come reazione ad un mondo esterno visto come luogo in cui vigono solo rapporti “homo homini lupus”. Rapporti, del resto già da lui preconizzati in apertura, quando, rivolgendosi al figlio Mario neo-ragioniere, per cui ambisce ad una carriera compensativa, sentenzia: “Un giovane in gamba per davvero pensa al suo avvenire, a nient’altro che a quello e lascia che gli altri s’impicchino”.

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Nel finale del film – diverso da quello del romanzo – prima di mettersi in movimento per portare a termine una prevedibile seconda violenta vendetta, si potrebbe dire per ben più “futili motivi” – un semplice diverbio con un aggressivo ed indisponente “ragazzo di borgata” -, Vivaldi ha modo di rivolgere una parola di attenzione verso una madre che intende proteggere il figlioletto da una pioggia imminente. Una riconferma della “banalità del male (sempre che questo sia un concetto convincente)?

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Forse. Comunque, l’isolamento e l’ossessione ristretta e totalizzante sul figlio, su cui proietta il sogno di una scalata sociale ed al benessere, proprio “partendo da dove sono arrivato io”, si rovesciano,con la perdita del povero Mario, in una regressione alla vendetta personale come risarcimento riparatore. La violenza repressa e atomizzata esplode, qui, in una cornice di desertificazione morale, istituzionale e sociale, bene rappresentate, oltre che dall’umiliante sequenza dell’inutile tentativo di trovare un posto per la sepoltura di Mario e la visita alla Camera ardente del cimitero – vero girone dantesco -, anche dall’ambientazione fisica del “capanno” isolato in una natura ostile e grigia, dove il film inizia e dove si consuma l’atroce vendetta del protagonista.

Siamo, credo, oltre il tema dell’influsso della violenza, spesso evocata come contesto storico sociale , per l’interpretazione delle tematiche del film. Di fatto non c’è, nella triste epopea di Giovanni Vivaldi, alcuna traccia di realtà coeve come i conflitti sociali e politici dell’epoca. L’orizzonte si fa, dunque, più largo, focalizzandosi proprio sulla storia di un “borghese piccolo piccolo”. Vale la pena, qui, ricordare alcuni episodi che sembrano accrescere la sua sfiducia nella giustizia e nell’umanità.

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Durante le esequie della moglie, due passaggi dell’omelia aprono l’abisso per cui il protagonista è, però, già maturo. La fragilità e la miseria dell’uomo, la sua malvagità e- soprattutto – la necessità definitiva di un altrettanto definitivo diluvio universale come unica giustizia ne sono i punti cardine. La giustizia di Dio suona qui come una vendetta ultima contro l’intero genere umano con una “irrevocabile sentenza di morte generale”. Per fortuna Dio è buono, soggiunge il celebrante, e ci consente di vivere in tranquillità aspettando la remissione dei peccati.

Nella seconda convocazione in Questura per il riconoscimento del presunto omicida del figlio Giovanni è convinto di riconoscere il colpevole, ma si chiude nel silenzio, quando il giudice istruttore che conduce le indagini gli comunica che “la sua testimonianza, in quanto persona troppo direttamente coinvolta, è la meno affidabile”, quindi “stia molto attento a quello che dice”. Inizia così il perseguimento accanito della vendetta come unica forma di giustizia, arcaica, personale e violenta.

Certo conta qui anche la storia esemplare di Giovanni che è un contadino inurbato, che la nuova realtà ha spinto ad adeguarsi ad ogni costo, a concepire la vita come lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione come individuo isolato, “che gli altri si impicchino” appunto, in un milieu sociale ed umano in cui ogni “altro” è nemico potenzialmente “mortale”. Istituzioni e forme collettive di solidarietà sono qui insussistenti o avverse. Cosa che, meglio di altre, getta luce più in profondità sul significato della parabola di Giovanni Vivaldi. Anche da queste radici e sedimentazioni, tuttora vive, si generano i “borghesi piccoli piccoli”, ed è lecito interrogarsi anche sulle responsabilità.

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